Il centro antiviolenza Thamaia di Catania festeggia vent'anni a favore delle donne. Contestualmente, denuncia la mancanza di sostegno economico a livello nazionale, regionale ma soprattutto locale.
I centri antiviolenza sono dei luoghi fondamentali per le donne. Eppure, in alcune città, questi luoghi fanno ancora fatica a sopravvivere a causa della mancanza di fondi da parte delle istituzioni, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale e locale.
È quello che succede a Catania, dove l’interesse dell’amministrazione comunale, e non solo, in tema di violenza e di supporto ai servizi per le donne è praticamente assente. A renderlo noto, questa mattina, sono state le operatrici del centro Thamaia – Anna Agosta e Vita Salvo – nel corso di una conferenza stampa in occasione dei vent’anni di attività.
Dal 2001 a oggi, il centro antiviolenza Thamaia è un servizio insostituibile per la città di Catania e tutta la provincia. Sono circa 5 mila le donne che, nel corso di questi anni, si sono rivolte al centro per denunciare e per trovare una rete supporto nel caso di violenza maschile. E circa 250 le donne accompagnate ogni anno in veri e propri percorsi di autodeterminazione. Si tratta di un numero significativo, che dimostra quanto la presenza di questi luoghi sia necessaria e costantemente ricercata da parte delle donne.
“Quest’anno Thamaia compie 20 anni – ha dichiarato la presidente Anna Agosta a LiveUnict –, quindi abbiamo deciso di lanciare una campagna, che inizialmente doveva essere solo di sensibilizzazione per ripresentare il centro antiviolenza al territorio, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno. Tuttavia, date le nostre difficoltà anche economiche, abbiamo deciso di lanciare una raccolta fondi. Ci siamo affidate a una agenzia, investendo anche dei nostri soldi ricevuti da donazioni.
Per noi è la prima esperienza, ma è molto significativa perché investiamo nella raccolta fondi, a livello di formazione nostra e delle nostre operatrici e volontarie e a livello economico. Abbiamo deciso di chiamare la campagna ‘Venti a favore delle donne’, da un lato per richiamare simbolicamente il nostro anniversario, ma anche per richiamare la forza del vento a favore delle donne”.
Agosta ricorda inoltre che “Thamaia è un presidio, un luogo di donne e per le donne che promuove attraverso la forza delle donne che ci lavorano e operano e fanno attivismo politico a favore delle donne ormai da vent’anni. Per noi, questo momento è una sorta di richiamo ai cittadini, alle cittadine, alle aziende, alle associazioni, ad assumersi insieme a noi la responsabilità del contrasto alla violenza contro le donne. Ognuno ovviamente nel proprio piccolo per quello che può fare. E siamo state quasi un po’ costrette a lanciare questa campagna, perché non abbiamo il sostegno economico sia a livello nazionale, sia regionale che locale”.
Le fonti di finanziamento pubblico di cui gode il centro antiviolenza Thamaia, ad oggi, non sono sufficienti a garantirne la stabilità. A rischio, dunque, il lavoro delle operatrici e l’attività non solo di accoglienza ma anche di consulenza nei confronti delle donne che fanno richiesta. Non è la prima volta che si verifica una situazione del genere: a novembre 2017, a qualche giorno dalla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il centro Thamaia minacciava di chiudere a causa delle inadempienze del Comune di Catania, che doveva corrispondere al centro la somma di 70 mila euro. Ma qual è oggi la situazione a livello nazionale, regionale e locale?
“A livello nazionale, il dipartimento pari opportunità non pubblica bandi specifici per i centri antiviolenza dal 2017 – spiega Agosta –. La conferenza stato-regioni ha stanziato dei fondi che poi vengono ripartiti tra le varie regioni, che poi vengono ripartiti tra i centri violenza iscritti all’albo regionale.
Ricordiamo che Thamaia è l’unico centro antiviolenza della città iscritto all’albo regionale e quindi per questo deve mantenere standard strutturali professionali, come per esempio una sede adeguata o un numero di telefono fisso. E questi per noi sono costi. Siamo l’unico centro che è costretto a pagarsi l’affitto. I fondi sono veramente minimi, perché in Sicilia abbiamo circa 22 centri antiviolenza iscritti all’albo e a noi arrivano circa 20mila euro all’anno su progettazione, quindi prima dobbiamo rendicontarli e spenderli. Ovviamente con questi soldi paghiamo le spese e basta.
Il problema più grave riguarda tuttavia il Comune di Catania: “Quello che noi lamentiamo è soprattutto il nostro territorio, perché ci sono altre realtà territoriali – e non dobbiamo scomodare il Nord, Milano, l’Emilia Romagna o altre regioni illuminate – come Palermo, che ha inserito il contrasto alla violenza contro le donne nella programmazione dei Piani di Zona e quindi nella legge 328. Noi non esistiamo. Da noi è come se il fenomeno non esistesse e quindi il sostegno e l’attivazione di convenzioni a enti specializzati non esiste. Tra l’altro, è la convenzione di Istanbul che dice di sostenere e promuovere gli enti specializzati, che sono i centri antiviolenza e le case rifugio. E questo succede anche a livello regionale.
L’altro scandalo che poi vogliamo denunciare oggi è quello dei fondi PON Metro. A Catania sono arrivati tantissimi soldi nella programmazione di Area 3, che è quella di nostra competenza, e non c’è nulla che riguardi la violenza contro le donne. Nulla. Quindi avvieremo un’interlocuzione con il Comune di Catania, perché questo è un treno che noi non possiamo perdere. Per esempio, il Comune di Palermo ha pubblicato un bando finanziato e sostenuto dai fondi PON Metro di 1 milione e 300 mila euro per sostenere i centri antiviolenza e le case rifugio. Catania è una delle 14 città metropolitane italiane e non può non investire dei fondi”.
La chiusura del centro Thamaia rappresenterebbe una gravissima perdita per il territorio di Catania e, soprattutto, per tutte le donne vittime di violenza dimenticate dalle istituzioni. Il lavoro del centro, e le conseguenti difficoltà a sopravvivere, dimostrano bene come le donne possano, in realtà, contare sono sul supporto di altre donne. E di come la violenza di genere non sia ancora percepita come un problema che non riguarda solamente le singole individue, ma la collettività tutta in relazione a esse.
“Cosa fa Thamaia? Fa tanto – chiarisce la presidente –. Io dico sempre che è un sistema per contrastare la violenza contro le donne. Non è solo un servizio. Lavoriamo sul fronte della prevenzione, della sensibilizzazione, della formazione. E poi gestiamo dal 2003 anche il centro antiviolenza, che è un luogo fisico in cui le donne vengono accolte e accedono attraverso un numero di telefono, una telefonata, garantendo riservatezza, anonimato, gratuità.
Le donne arrivano al centro e poi possono fare un percorso di autodeterminazione in cui sono libere di compiere le scelte che ritengono opportune per se stesse con il supporto dell’operatrice d’accoglienza che le sostiene. Da lì, poi si attivano tutta una serie di consulenze, se la donna lo riterrà opportuno, se lo vorrà e lo desidererà: si tratta di consulenze legali, lavorative, di accompagnamento alla genitorialità.
Thamaia, inoltre, gestisce e promuove la rete antiviolenza della città metropolitana di Catania, che abbiamo costituito formalmente con un protocollo nel 2008 anche se l’approccio di rete è stato un nostro metodo di lavoro fin dai primi anni della nostra costituzione. Perché una rete antiviolenza a favore delle donne? Perché una donna nel suo percorso di fuoriuscita della violenza può rivolgersi a più enti, istituzionali e non. Per chiedere aiuto, per chiedere soccorso.
E della rete chi fa parte? “La procura, le aziende ospedaliere, le forze dell’ordine, ma anche enti del terzo settore che a più titolo possono entrare in contatto con le donne vittime di violenza. L’obiettivo della rete è, appunto, quello di essere simbolicamente una rete fatta di nodi che sostengono le donne. Promuovendo questa rete, promuoviamo l’utilizzo di un linguaggio comune, un sistema integrato per sostenere le donne”.
L’allarme sulla violenza domestica e la necessità di luoghi sicuri per le donne si è rivelato sempre più prepotente durante la pandemia. Il lockdown si è rivelato una trappola per moltissime donne, che non erano più nelle condizioni di ritagliarsi neanche uno spazio per fare una telefonata. Come LiveUnict aveva raccontato in un approfondimento, proprio durante il 2020, il centro Thamaia aveva denunciato un calo del 60% delle telefonate. Ma cosa è cambiato, di fatto con la pandemia?
“È cambiato innanzitutto l’approccio – spiega Agosta –, perché dobbiamo rispettare le regole anticovid e questo ha una ripercussione ovviamente sulla tempistica con la quale diamo appuntamento alle donne. Già da noi abbiamo tempi di attesa vanno dalle due alle tre settimane e con le normative anti Covid questa è arrivata a un mese.
Inoltre, noi abbiamo un’apertura telefonica di sole 16 ore settimanali, perché è quello che riusciamo a sostenere con il mero volontariato ed è pochissimo. Con 16 ore settimanali abbiamo circa 250 donne all’anno, ma abbiamo visto che aumentando le ore di accoglienza telefonica i dati schizzano a quasi il doppio. In vent’anni noi abbiamo accolto circa 5 mila donne. Sono tante. Siamo certe che se avessimo la possibilità di potenziare gli orari del centro, i dati aumenterebbero”.
Per sostenere il centro antiviolenza Thamaia e per partecipare alla campagna lanciata in occasione dei vent’anni del centro, è possibile reperire tutte le informazioni sul sito del centro.
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