Femminicidio. Studentessa dell'Università di Bologna uccisa brutalmente dal fidanzato. L'orrore dentro al dramma. Forti le parole del rettore Francesco Umbertini, che richiede prevenzione e cultura contro la violenza di genere.
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Emma, 31 anni, brillante e diligente studentessa presso l’Università di Bologna, è un’altra vittima di femminicidio. Alla giovane mancavano solo quattro esami per completare la sua carriera presso la magistrale in Sociologia e Servizio sociale. I sogni e i progetti sicuramente tanti, come è dovuto averne per una ragazza di soli 31 si sono infranti per mano del fidanzato, Jacques Ngouenet, che l’ha brutalmente uccisa e massacrata.
Il dramma della morte si amplifica narrando come la vittima è stata brutalmente uccisa. La giovane studentessa, Emma Elsie Michelle Pezemo, originaria del Camerun e arrivata in Europa con grandi speranze e sogni; dopo essere stata uccisa dal fidanzato Jacques Ngouenet, è stata poi fatta a pezzi e gettata nel cassonetto. Dopo, l’omicida, si è tolto la vita.
La giovane è stata ricordata oggi in Senato accademico dal rettore Francesco Umbertini: “Vorremmo che la laurea fosse anche un simbolo del nostro impegno per ricordarla come parte della nostra comunità, va fatto di più contro la violenza alle donne“.
ErGo, l’azienda per il diritto allo studio, le dedicherà una sala studio, il corso di laurea alla quale era iscritta e il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia un’aula.
Sempre il rettore parla di possibile laurea alla memoria: “come Ateneo proporremo di conferirle la laurea alla memoria, che forse potrà lenire, anche solo per qualche istante, il dolore della sua famiglia e di chi le è stato vicino“.
Significative le parole del rettore Umbertini sull’accaduto: “Vorremmo che la laurea fosse anche un simbolo del nostro impegno per ricordare Emma come parte della nostra comunità. Un monito e un auspicio: che siano, queste, azioni capaci di suscitarne altre, nella coscienza che solo se sarà culturale nel senso profondo del termine la battaglia contro la violenza sulle donne potrà essere efficace“.
Umbertini in Senato ha richiamato al ruolo dell’università contro la violenza di genere: “Un femminicidio, un altro, il trentottesimo in Italia dall’inizio dell’anno, quasi tutti perpetrati da mariti, compagni, ex fidanzati, negli ambienti e contesti socio-culturali più diversi. Qualcuno potrebbe obiettare che ne parliamo oggi, qui, solo perché siamo stati toccati da vicino, perché la vittima era parte del nostro stesso mondo, ma l’obiezione corrisponde, solo in parte, a verità“
“Piangiamo la ragazza che ha frequentato le nostre aule, che si è appassionata, esame dopo esame, a un percorso formativo, è vissuta in uno studentato condividendo momenti di gioia e magari talvolta anche di scoramento, ha contribuito, con le sue domande, allo scambio di saperi e pensiero critico che danno senso alla nostra istituzione. Ma piangiamo anche la donna che è stata e quella che aveva tutto il diritto di diventare se un gesto di inaudita violenza non avesse annientato e stroncato la sua forza e la sua vitalità. E siamo costretti attraverso di lei a guardare in faccia una realtà terribile: nonostante siano passati già dieci anni da quell’11 maggio del 2011 in cui venne firmata la Convenzione di Istanbul, le vittime continuano a crescere, e l’inferno, il più delle volte privato, è stato reso, lo dicono i dati Istat, ancora più spettrale dalla pandemia“.
Di qui l’invito di Umbertini: “Non c’è più tempo allora per farsi domande solo teoriche sulle cause. Dal punto di vista normativo, seppure con ritardo, l’Italia ha fatto negli ultimi anni dei passi avanti e il cosiddetto Codice rosso del 2019. Ma non basta. Non può esistere prevenzione se non c’è cultura della prevenzione. E l’Università ha l’obbligo di essere istituzione trainante per questo cambiamento culturale: dobbiamo aiutare la società a disinnescare stereotipi, a scardinare meccanismi spesso inconsci, gli stessi che nel discorso che intesse i fatti di cronaca tendono a ricercare le ragioni, come se potessero essercene, o a identificare nel raptus o nella follia la leva della violenza; dobbiamo aiutare le nostre ragazze e i nostri ragazzi a crescere nell’autodeterminazione e nella coscienza critica“.
La storia di Emma non può non ricordarci quella di Lorena Quaranta, studentessa di Medicina dell’Università di Messina, originaria di Favara, uccisa in una villetta di Furci Siculo in provincia di Messina lo scorso anno, 31 marzo 2020, a poche settimane dal primo lockdown. Anche Lorena vittima del fidanzato, Antonio De Pace, infermiere calabrese, ancora unico accusato di un processo non ancora conclusosi.
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