Secondo uno studio dell'Università di Catania e del Salento condotto con dei centri di studi americani il rischio desertificazione riguarda anche alcune zone dell'Italia.
Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Land, realizzato dai ricercatori degli atenei di Catania e del Salento, dell’University of California e del Desert Research Institute di Las Vegas è emerso il futuro della terra in cui viviamo. Il problema della desertificazione riguarda oltre il 25% della popolazione mondiale a causa delle crescenti pressioni esterne dovute alle attività umane ed al cambiamento climatico che aggraveranno ulteriormente la situazione.
Il titolo dello studio è “The Resilient Recurrent Behavior of Mediterranean Semi-Arid Complex Adaptive Landscapes” e porta la firma dei docenti Christian Mulder dell’Università di Catania, Irene Petrosillo, Donatella Valente e Giovanni Zurlini dell’Università del Salento, Bai-Lian Li dell’University of California e K. Bruce Jones del Desert Research Institute di Las Vegas.
I sei ricercatori, grazie all’analisi di dati satellitari MODIS – Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer della vegetazione pugliese effettuata sulla base della resilienza della chioma degli alberi ad eventi estremi quale la siccità, hanno identificato alcune zone aride del Mediterraneo dove la desertificazione avanza rapidamente. Tra questi c’è il sud-Italia, in particolar modo regioni come la Puglia, Sicilia e Sardegna.
“Il mosaico delle zone aride e semi-aride mediterranee è stato definito da sistemi complessi che rispecchiano le coperture vegetazionali del suolo – spiega il prof. Christian Mulder, docente di Cambiamenti climatici e rischio desertificazione dell’Università di Catania -. Quindi l’identificazione esatta dei loro cambiamenti nel tempo è cruciale nelle aree a rischio desertificazione. I risultati ottenuti hanno dimostrato un’elevata resa spaziale nel riconoscimento del degrado del suolo e della massiccia desertificazione nel Sud Italia in generale, e della Puglia in particolare. Di conseguenza, la suscettibilità della terra al degrado, misurata con questo approccio, può aiutare a quantificare la vera desertificazione del suolo, con evidenti vantaggi operativi per la gestione e la pianificazione paesaggistica“.
Gli studiosi sono fiduciosi e studiando alcuni fenomeni naturali hanno riconosciute alcune cause che sono sotto osservazione e studio. Ma per evitare la desertificazione è necessario porre più attenzione al nostro territorio: “I dati informativi raccolti nel tempo sulla vegetazione sono stati ampiamente riconosciuti – ha concluso il docente dell’UNICT – come indicatori per misurare processi come la conversione dell’uso dell’habitat e pertanto rappresentano un serbatoio essenziale di informazioni sul paesaggio perché rendono tracciabili gli eventi di stress ambientale che si sono verificati. Attraverso la loro indagine approfondita, quindi, è possibile rivelare non solo l’entità dei “disturbi”, ma anche di valutare il tempo necessario al paesaggio per tornare alla normale funzionalità e proiettare questa resilienza nel futuro“
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