I neolaureati dell'"anno del Covid" sono tra le categorie più colpite dalla crisi, eppure se ne parla poco. E, nel silenzio generale, l'Italia investe solo una minima parte dei fondi del "Next Generation EU" sui giovani.
I dati mostrano come il 2020 sia stato per le università un anno migliore del precedente, dal punto di vista meramente numerico. Ma oltre le statistiche, terminata la cerimonia, migliaia di giovani si sono ritrovati a fissare lo schermo nero del monitor dal quale erano stati proclamati, chiedendosi: “E adesso?”. La crisi economica ha avuto tante vittime: chi ha cessato l’attività, chi è in rosso da un anno e chi ha perso l’impiego. In questo dramma trasversale, i neolaureati sono quelli che fanno meno rumore, ma dati alla mano sono anche una delle categorie più colpite. Nell’indifferenza di buona parte dei politici.
Secondo le analisi della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 ed i 24 anni è di oltre il 33%, contro una media europea del 12.5%. A questi si aggiungono i Neet, gli inattivi che non lavorano, non cercano lavoro e non sono impegnati in attività di formazione. In Italia sono circa due milioni, ma il numero cresce soprattutto al Sud, dove gli appartenenti a questa categoria incidono sul 33% del totale.
Negli ultimi sei anni, seppur a piccoli passi, i livelli di disoccupazione giovanile erano calati, ma la crisi innescata dalla pandemia ha peggiorato la situazione, acuendo le difficoltà già presenti. Ad oggi, l’Italia è il terzo stato peggiore in Europa per la disoccupazione giovanile e il secondo, partendo dal basso, per numero di laureati.
Nel complesso della crisi, la posizione della Sicilia è ancora più drammatica. Per la prima volta, l’Isola è l’ultima regione in Italia per tasso di occupazione (34,9%), superata da Calabria e Campania. Solo l’8,7% dei residenti ha una laurea o un dottorato di ricerca, come fotografano i dati ISTAT pubblicati lo scorso dicembre.
La situazione italiana è stata fotografata con spietato realismo dal giornalista Enrico Mentana, che qualche giorno fa si è sfogato sui social scrivendo una lettera aperta ai politici dei maggiori partiti italiani: “La situazione è al limite della catastrofe. Partiamo dall’occupazione. Già da subito ingenti somme sono state destinata alla sacrosanta tutela del lavoro a rischio, ma nemmeno un euro alla altrettanto sacrosanta possibilità di accesso al mercato del lavoro per i giovani.
Siamo in testa – continua – alle classifiche europee nella somma tra giovani disoccupati e Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non cercano occupazione). Tra gli under 35 che lavorano quelli che hanno contratti a tempo indeterminato sono la minoranza, e la loro aspettativa di un rapporto previdenziale e pensionistico è già da ora a rischio, anche per i conti dell’Inps”. Il giornalista conclude ricordando che il nome del piano di rilancio per l’Europa non è “Recovery Fund”, come ripetono i politici nostrani e come si ritrova costantemente riportato nelle prime pagine dei quotidiani. Da mesi ormai, sugli edifici della Commissione Europea a Bruxelles e in politica estera si parla solo di “Next Generation EU”. Una scelta di parole non indifferente, così come quella di ignorarla.
Se la situazione è grave per tutti, per i laureati dell’anno del Covid trovare un impiego è stato ancora più difficile, e anche la richiesta da parte delle aziende è diminuita. Il primo allarme si era già avuto la scorsa estate, durante la presentazione del report su laureati e lavoro ai tempi del Covid da parte di AlmaLaurea. Nel confronto col 2019, presentato a luglio, erano peggiorati quasi tutti i dati relativi alla condizione occupazionale. A farne le spese sono stati soprattutto i laureati con la sola triennale, con picchi nel tasso di occupazione (-9%) e nell’efficacia del titolo di studio (-7,8%).
La contrazione delle offerte lavorative si può osservare da un altro angolo tramite la banca dati dei curricula della rete AlmaLaurea. All’interno sono presenti oltre 3 milioni di CV, provenienti dai laureati dei 76 atenei appartenenti al Consorzio. Si tratta di una visione parziale, considerato che la banca dati viene utilizzata soprattutto da realtà industriali e mancano servizi e piccole imprese, ma nel 2019 e nel 2020 il servizio è stato utilizzato da 16mila aziende.
L’inizio del 2020 era stato dei migliori, con un aumento del 15% della richiesta di CV rispetto all’anno precedente. A partire da febbraio, poi, la prima contrazione (-17,3%), per toccare quindi il picco nei mesi successivi, quando sono diminuite sia le offerte di lavoro pubblicate dalla rete AlmaLaurea sia la richiesta di curriculum (rispettivamente del 64,2% e del 55,8%).
“La repentina contrazione delle richieste dei CV dalla banca-dati – si legge nel report AlmaLaurea – è trasversale e riguarda tutti i tipi di corso, le aree territoriali, i gruppi disciplinari (con la sola eccezione del gruppo medico) e tutti i tipi di imprese, indipendentemente dalla dimensione o dalla localizzazione territoriale”.
Una ripresa si è avuta a partire da giugno, come dimostrato da un approfondimento realizzato da ilSole24ore sugli stessi dati. Fino a luglio l’acquisizione di CV è salita, crollando ad agosto in coincidenza con le prime avvisaglie della seconda ondata. Poi, ancora, una leggera risalita, determinata soprattutto dalle richieste nel settore sanitario (cresciute di oltre il 30% per tutto il periodo considerato), ma non è bastato. A novembre, la richiesta di laureati era ancora inferiore del 25% rispetto al 2019.
Fino a qualche giorno fa, le politiche dedicate al lavoro giovanile nel PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che spiegherà in che modo l’Italia utilizzerà i fondi del Next Generation) erano pari a meno di 3 miliardi di euro, circa l’1% del totale.
Solo da pochi giorni, in una bozza fatta circolare il 7 gennaio, la cifra per le politiche giovanili è salita a 7,5 miliardi. A questi si aggiungono 4,47 miliardi per la fiscalità di vantaggio per il Sud e nuove assunzioni di giovani e donne, mentre viene aumentato il fondo per il Servizio civile universale a 0,65 miliardi.
Malgrado i passi in avanti, tuttavia, “emerge chiaramente l’assenza di un piano organico e coerente che indirizzi in maniera decisa la questione giovanile presa in quanto tale”. A dichiararlo sono i giovani di Visionary e Officine, che hanno lanciato in questi giorni la campagna #unononbasta. Obiettivo è che il 10% dei fondi per l’Italia, pari a 20 miliardi, vengano assegnati a istruzione e formazione per combattere la disoccupazione.
L’ultima bozza del PNRR, circolata l’11 gennaio, è stata approvata dal CdM del giorno successivo. Ancora una volta, l’argomento giovani viene indicato come “trasversale”. La cifra per le politiche per il lavoro è stabile a 12,62 miliardi, ma vengono delineati sinteticamente gli interventi. Nel dettaglio, è previsto un “Piano nuove competenze” per potenziare gli strumenti già esistenti (Centri formazione professionale, ITS, Fondi interprofessionali) e un “Apprendistato duale” volto ai giovani, con l’obiettivo di favorire modalità di apprendimento “on the job”, costruendo percorsi formativi che rispondano meglio alle esigenze del Paese.
L’Italia ha tempo fino al 30 aprile per mandare alla Commissione europea la ripartizione dei fondi, ma è già in ritardo. Mentre si discute di rimpasto di governo e crisi politica, la Francia ha stanziato 15 miliardi direttamente riferibili alla gioventù. Il Portogallo, con meno fondi a disposizione rispetto a noi (che, ricordiamolo, riceviamo più di qualunque altro Paese UE) ne ha stanziati l’8,7%; la Spagna il 17,6%.
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