Ricorre, oggi, il 38° anniversario dell’uccisione a Palermo del Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Il 3 settembre di 38 anni fa, il generale e prefetto di Palermo Carlo Albero dalla Chiesa esce dalla prefettura a bordo di una Autobianchi A112 beige, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro. Hanno intenzione di cenare, quella sera stessa, in uno dei ristoranti o chioschi che fiancheggiano la spiaggia e le strade dell’ex borgo dei pescatori di Mondello, suggestivo quartiere costiero della provincia di Palermo. L’agente di scorta, Domenico Russo, seguiva i due coniugi a bordo della sua Alfetta.
In via Isidoro Carini, un motociclista si accosta alle due vetture e Scarpuzzedda, Giuseppe Greco, uno degli assassini dello “squadrone della morte” al servizio dei Corleonesi, con lui sul veicolo, apre brutalmente il fuoco contro l’Alfetta; contemporaneamente Nino Madonia e Calogero Ganci, a bordo di una BMW 518 sparano sul parabrezza dell’Autobianchi: trenta pallottole stroncarono la vita del prefetto e della donna. Cadde sotto i colpi della mafia anche Russo, l’agente di scorta, dopo dodici giorni di agonia.
Ricorre oggi il trentottesimo anniversario della strage di Carini. Il generale era stato inviato a Palermo in virtù dell’alto prestigio guadagnato sul campo; notevoli, infatti, i risultati che ottenne contro i gruppi eversivi di estrema sinistra, in particolare sulle Brigate Rosse, contribuendo al processo di disgregazione del fenomeno terroristico in Italia, conclusosi solo dopo la sua morte.
Trema Cosa Nostra all’indomani del suo arrivo nel capoluogo Siciliano, al tempo squassata da quella che viene conosciuta come “seconda guerra di mafia”: i Corleonesi, dopo il processo di Catanzaro degli anni ’60, si adoperarono massacrando loro nemici per prendere il controllo dell’organizzazione e imporsi come fazione egemone.
In questo panorama, il 3 settembre del 1982, la vita del prefetto, spesa a combattere il terrorismo, venne stroncata terribilmente a colpi di AK-47 dopo soli 100 giorni dal suo arrivo nel capoluogo di regione. Con questo omicidio mafioso, lo Stato italiano perse un suo grande servitore che era riuscito ad inferire duri colpi alla criminalità organizzata.
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