Una vicenda storica di rinascita e ricostruzione, attorniata da un’aura leggendaria, in cui trova la propria origine una curiosa e peculiare caratteristica che rende ancor più unica la città di Catania.
Passeggiando per le strade di Catania, appare subito evidente allo sguardo – che si tratti di quello di un catanese, di un turista, di uno studente universitario o di un impiegato che procede celermente verso il posto di lavoro – che l’essenza della città è legata a doppio filo con il Barocco, protagonista indiscusso delle vie catanesi e correlato a una peculiare vicenda storica.
Il barocco catanese vede il suo anno di nascita nel 1693; ma prima che la nuova Catania venisse alla luce, fu la vecchia, dagli edifici e fortificazioni eminentemente medievali, retaggio della presenza Sveva in Sicilia, ad essere seppellita. Il 9 gennaio dello stesso anno, un violento terremoto sconvolse tutta la Val di Noto, tanto da essere annoverato come uno degli eventi più catastrofici degli ultimi mille anni. Vennero distrutte ben 54 città e 300 villaggi; Catania fu sventrata dalle scosse; morirono 16.000 abitanti su 20.000.
A quel tempo, l’Isola si trovava ancora sotto il dominio Spagnolo. La grande responsabilità della ricostruzione ricadde sulle spalle del vicerè Juan Francisco Pacheco duca di Uzeda, che decise di affidare al proprio vicario, Giuseppe Lanza Duca di Camastra, l’incarico di ricostruire Catania.
Il piano di ricostruzione portato avanti dal Duca di Camastra reca con sé un alone di leggenda. L’abile condottiero, salito in groppa al suo bianco destriero – così si tramanda nel racconto -, partì al trotto, attraversando con una lunga cavalcata le strade della città, ancora ingombrate dalle macerie dei vecchi edifici. Non fu una semplice cavalcata: quella traversata a cavallo fu un vero e proprio rito di fondazione della nuova Catania, risorta come l’araba fenice. Venne, infatti, messo a punto il nuovo tracciato degli assi viari. Il Duca scelse una pianta a scacchiera, conferendo alla città la forma a griglia che permane ancora oggi.
Il piano urbanistico definitivo venne ultimato nel giugno 1694; in esso si coniugavano ordine e decorativismo barocco. Infatti, nonostante il criterio ordinato e razionale scelto per la mappa urbana, le strade vennero realizzate come vere e proprie opere d’arte, decorate con pietra lavica nera e pietra calcarea bianca, un gioco di luci e ombre che scivola sinuoso verso ampi spazi scenici come quello del Duomo di Catania.
L’ordine urbanistico venne imperniato su quelle che sarebbero state le due vie principali, due rette perfettamente perpendicolari di cui una, la via Etnea avrebbe dovuto attraversare l’intera città, connettendo il mare direttamente al cratere sulla sommità dell’Etna.
Il progettista, però, commise un errore di calcolo, una piccola falla che finì per incrinare l’idea di ordine alla base della fondazione e che dona alla città di Catania un aspetto del tutto peculiare. Infatti, osservando la via Etnea, si nota con sorpresa che questa non conduce verso la sommità del vulcano, come avrebbe dovuto, ma dirotta lo sguardo dello spettatore sul pendio nevoso orientale della montagna. Così si è mantenuta Catania ancora oggi, stretta tra il poderoso abbraccio dell’Etna e la dolce danza infinita delle onde del mare.
Probabilmente, l’operato di Camastra non dovette lasciare tutti i cittadini entusiasti, tanto che riecheggia ancora, nella memoria di alcuni catanesi il motteggio “Ciò che non fece il terremoto, fece Camastra”.
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