Gli accademici alzano la voce sulle modalità attuali di insegnamento. La DaD ha cambiato il modo di fare lezioni eliminando il contatto diretto fra studenti e professori e menomando così gravemente la didattica. 870 professori spiegano perché, secondo loro, la soluzione attuata deve essere momentanea e non ulteriormente prolungata.
Parte da un documento promosso da 7 professori e siglato da 869 una forte denuncia sociale in cui il mondo dell’istruzione superiore mette in evidenza le incongruenze sulle riaperture della fase 2 e l’insufficienza didattica dovuta alla chiusura degli atenei. Al testo, firmato tra gli altri anche dai professori di Catania Alberto Giovanni Biuso (professore ordinario di Filosofia teoretica) e Tommaso Auletta (professore di Diritto privato), segue una petizione da poter firmare online su avaaz.org.
Nel documento si legge: “Il DPCM del 4 marzo 2020 ha disposto la chiusura delle Università su tutto il territorio nazionale. Dapprima prevista fino al 18 marzo, la chiusura si è protratta senza soluzione di continuità fino ad oggi. Si riapre la mobilità fra regioni. Sono state assunte misure per la progressiva riapertura di fabbriche, uffici, esercizi commerciali, enti pubblici, e anche dei luoghi di ritrovo e di socializzazione, ma nessuna misura relativa alla riapertura delle Università. Quest’ultima non sembra un evento all’ordine del giorno”.
La fase 2 ha permesso la riapertura di edifici commerciali dove ci si può liberamente incontrare, ma ha preferito lasciare chiuse le aule in cui si svolgono le lezioni universitarie e gli esami: “Pare che gli studenti – continua il testo – si possano incontrare fra loro e con i docenti senza rischi in birreria o in pizzeria, tra poco anche nei cinema e nei teatri, ma non nelle aule universitarie. Si sono studiati (fortunatamente) protocolli per far svolgere in sicurezza gli esami di maturità in presenza a giugno, ma non gli esami universitari delle sessioni estive”.
Nessuna critica aprioristica nei confronti della tecnologia che ha permesso, anzi, in un momento così delicato di proseguire comunque le funzioni didattiche, ma sul prolungamento di queste misure in un momento in cui l’Italia sta progressivamente riaprendo le sue attività: “Temiamo – spiegano i docenti – che quando si dice che “conviene” proseguire l’insegnamento in modo prevalentemente telematico fino a gennaio 2021, si pensi che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale o che le Università non siano in grado di elaborare strategie per consentire una vera esperienza educativa, contenendo i rischi di contagio, e che siano meno capaci di farlo rispetto ai ristoratori o ai gestori turistici (che per elaborare le soluzioni si rivolgono a ricercatori universitari)”.
La preoccupazione degli accademici inoltre verte sul significato profondo della didattica contemporanea che, in una situazione così alienante come quella che stiamo oggi vivendo, viene meno: “L’idea che la presenza fisica degli studenti nelle Università sia tranquillamente sostituibile con i corsi telematici, con la DaD, è sbagliata. Perché – paradossalmente -, al di là del manto tecnologico, è un’idea molto arretrata. Riflette una visione della didattica universitaria vecchia di oltre sessant’anni”. L’istruzione oggi, universitaria quanto scolastica, verte sul dialogo e il confronto reciproco fra professori e alunni, che prevede la crescita umana e formativa di entrambi. Una struttura invece puramente virtuale: “consistente in una memorizzazione dei cosiddetti manuali, assunti dogmaticamente come fonte del sapere”.
Un altro, non trascurabile, problema che viene a determinarsi nel proseguimento di questa modalità a distanza è la creazione di una università al singolare, in cui docenti di prestigio tengono lezioni online mentre tutti gli altri docenti sono tenuti solo a verificare che gli studenti abbiano “acquisito” le giuste conoscenze. “Tra quanto nascerà l’Amazon University così organizzata?”, chiedono, provocatoriamente, i docenti firmatari del documento.
L’università dunque è altra cosa. È la più alta istituzione culturale che verte proprio su un metodo d’insegnamento “dal vivo”, in cui il contatto umano e mentale è ritenuto prezioso ed imprescindibile. Elementi, tutti, che l’attuale sistema della DaD, secondo gli accademici, non può avere.
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