Perché la TV spazzatura ha successo? Cosa scatta nella mente di chi la guarda? Il prof. Francesco Pira ha spiegato ai microfoni di LiveUnict il fenomeno della cosiddetta "tv trash".
Di cosa parliamo quando parliamo di TV spazzatura? Il trash è un fenomeno sempre più diffuso a livello globale, il professor Francesco Pira, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Messina ci ha spiegato il fenomeno della TV spazzatura e quello che ruota intorno a questo universo.
“Per definire la TV trash possiamo prendere in prestito la definizione di spazzatura (trash) della Treccani come: la qualifica attribuita in tono polemico a prodotti ritenuti di cattiva qualità, di breve durata nel tempo, messi sul mercato a basso prezzo al fine di ottenere guadagni immediati; più spesso, con riferimento al mondo dello spettacolo o dell’editoria, detto di programmi, trasmissioni, pubblicazioni considerati come ricettacolo di volgarità, programmati o diffusi solo per andare incontro ai gusti di un pubblico largo e poco esigente. Nella definizione emerge un elemento che trovo particolarmente significativo, ossia per chi sono confezionati questi programmi, un pubblico poco esigente. Eppure proprio questi programmi ottengono risultati in termini di ascolto particolarmente significativi tanto da avere contribuito alla grande rivoluzione avvenuta nella televisione e storicamente avviata negli anni duemila con l’arrivo di un nuovo format: il reality”.
Letteralmente, dunque, “spazzatura”: un prodotto di bassa qualità e grottesco. Da anni assistiamo alla nascita e crescita di questo Minotauro fatto di spettacolo e spazzatura, un essere ripugnante ma che piace. Nella TV spazzatura domina il cattivo gusto, le urla, l’oscenità, la violenza, ed il tutto genera una spirale che ipnotizza milioni di telespettatori, ci tiene incollati allo schermo assetati di sapere cos’altro succederà. Perché?
In un saggio scritto a quattro mani con la collega Cava nel quale analizzavamo l’evoluzione del gossip abbiamo dedicato ampio spazio alla fenomenologia del voyeurismo che proprio un certo tipo di televisione estremizza e potenzia. – spiega il prof. Pira -. Qui la televisione diventa una protesi ottica che alimenta i desideri legati alla pulsione del guardare che stimolano il coinvolgimento emotivo. Una sorta di potere di osservare, senza essere visti, le storie degli altri, immedesimarsi, oppure ergersi a giudici delle vite esposte, dove riconosciamo pulsioni, difetti e miserie.
Penso che la parola chiave sia propria la mediocrità, che diventa il fulcro intorno al quale si costruisce il programma. Basti pensare alla campionessa di ascolti Mediaset, Barbara D’Urso, per la quale ho coniato il termine barbaradursizzazione, riferito ad una forma di devianza del giornalismo, per evidenziare come si sia dato vita a un tipo di televisione che si poggia esclusivamente sull’emotainment, dove questioni intime e private vengono analizzate, ridicolizzate o pietisticamente presentate davanti alle telecamere e poi rivisitate sui social network con commenti molto discutibili. La condivisione dei sentimenti umani diventa così il traino di molti programmi che spingono lo spettatore ad identificarsi con le parti in causa”.
“In apertura dell’intervista ho fatto accenno al fenomeno dei reality, ritengo che proprio il successo di questo format abbia nel tempo costruito un rapporto privilegiato proprio con il pubblico giovane e questo per una serie di motivi. In primis lo storytelling specifico, la sceneggiatura del format dove personaggi coinvolti sempre più spesso vip o cosiddetti tali, si cimentano con situazioni dove la patina dell’irraggiungibile si confronta con il ridicolo. Poi la spinta tecnologica, con l’introduzione del satellitare, del digitale terrestre, della televisione via web e on demand, che consente, partendo dalla messa in onda del programma all’interno del palinsesto generalista, di spacchettare, rimodulare, personalizzare la fruizione del programma.
Ed in ultimo ma non per ultimo, l’interattività sempre più spinta, per cui il programma televisivo diventa spunto conversazionale all’interno dei gruppi sui social. Tanto che il format funziona tanto quanto riesce a penetrare nei flussi conversazionali. La fruizione non è più top – down. La televisione non è più al centro, ma diventa elemento che entra in un universo di connessioni, dando vita ad una permeabilità di contenuti e di pubblici e che alimenta l’audience diretta e indiretta. Il tutto con una velocità incalcolabile”.
“Non credo alla TV complottista. Di pensare in partenza ad una televisione capace di anestetizzare le masse. Credo però, e questo è un discorso complesso, che la TV commerciale rispetto alla TV in bianco e nero del Maestro Manzi ha avuto esigenze diverse, è nata per catturare il telespettatore e farlo diventare un consumatore orientabile e condizionabile. E la storia della televisione italiana ci consegna un uso dell’infotainment a fini esclusivamente politici. In un’Italia che ha grossi problemi nello smaltimento dei rifiuti, la TV spazzatura rappresenta un ennesimo problema di smaltimento”.
Il professore conclude con una personale riflessione: “In questo momento storico la TV spazzatura in quanto tale non rappresenta la preoccupazione più grande. La televisione sarà vista da un pubblico che sarà composto sempre di più da persone anziane e con un basso livello culturale. E’ molto più preoccupante l’interconnessione tra TV e web concentrata su format on demand, che fanno credere all’utente di poter decidere il finale di qualunque proposta d’intrattenimento. E’ un’illusione, una pura illusione.”
Dobbiamo farcene una ragione, la natura stessa dell’essere umano è cambiata. Nel mondo delle tecnologie iper-invasive l’homo sapiens si evolve in – o regredisce a – homo videns (Sartori, 2007). L’essere umano che sembra dominare la realtà è paradossalmente più vulnerabile ad essa, la sua libertà all’apparenza assoluta sembra sciogliersi nei pixel di uno schermo.
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