Un professore dell'Università di Catania è stato condannato a risarcire 36 mila euro all'Ateneo per aver esercitato una professione incompatibile con quella di docente.
I giudici della Corte dei conti, presidente Guido Carlino, hanno condannato il professore universitario Rosario Lanzafame docente a tempo pieno di “Macchine e Sistemi Energetici” del Dipartimento Ingegneria Civile e Architettura di Catania a risarcire l’ateneo di 36 mila euro per avere esercitato dal 2012 al 2015 un’attività libero professionale incompatibile con lo status ricoperto con la facoltà.
La procura della Corte dei conti aveva citato in giudizio il professore Lanzafame dopo le indagini delegate dai finanzieri del nucleo di polizia economica finanziaria di Catania. La procura contabile, diretta da Gianluca Albo, aveva evidenziato che il professore “ha svolto attività libero professionale in violazione delle norme che disciplinano l’assunzione di incarichi da parte del personale docente universitario, avendo egli – in assenza di “autorizzazione preventiva dell’amministrazione di appartenenza” – “percepito compensi (al netto di imposte e contributi previdenziali) per un ammontare complessivo di 125.665 euro per lo svolgimento delle seguenti attività: -consulente del Comune di Biancavilla; – consulente della Team Tic srl, della Medicalia srl, del Maas Scpa, della Keita srl e della Epm sri“. Di questi la procura chiedeva il pagamento di 72.438 euro.
Per la difesa l’attività di consulenza – anche retribuita – svolta dai professori universitari è stata sostanzialmente liberalizzata, rilevando al riguardo, con supporto documentale, che la predetta norma ha trovato diretta applicazione nell’Ateneo catanese, come dimostrato dall’orientamento manifestato dall’amministrazione che, in occasione dell’esame di una richiesta di autorizzazione presentata da altro docente, ha escluso “la necessità” della stessa.
Secondo i giudici “L’attività svolta dal convenuto – con l’eccezione di soli due casi – si legge nella sentenza – rientra nel divieto previsto dalle norme: “l’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno salva la possibilità di ottenere l’autorizzazione nei casi previsti dalla Legge 382/1980 e dal regolamento universitario per gli incarichi“. La quantificazione del danno, come richiesto dalla difesa, va decurtata dall’Iva versata e dall’aliquota del 43% versata allo Stato a titolo di Irpef, rientrando il versamento di tali tributi. Da qui il danno risarcibile è quantificato in 36.000 euro.
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