100 professori universitari da tutta Italia suggeriscono la Corea del Sud come modello da seguire per ripartire: come prosegue realmente la vita nella capitale sudcoreana in questo momento ancora così incerto?
“La Corea ha sconfitto il virus senza il lockdown”, recita la lettera di 100 docenti universitari da tutta Italia indirizzata al premier Giuseppe Conte per sollecitare la riapertura delle attività e il passaggio alla tanto attesa “Fase 2”: il modello coreano alla base delle richieste dei professori.
Gli ultimi dati registrati in Corea del Sud hanno visto 10.423 casi totali, solo 39 in più rispetto il giorno precedente, e 204 morti totali, 4 in più. Restano attivi 3.246 casi (55 in terapia intensiva) mentre sono 6.973 i guariti: un netto miglioramento per il paese che sta ora cercando di andare avanti. In Italia sarebbe prevista una prima riapertura di alcune attività dopo Pasqua, mentre per il resto si dovrà aspettare il 4 maggio, il tutto ovviamente scandito dall’evoluzione della pandemia nei prossimi giorni.
Si avanzano allora le prime ipotesi sulle modalità da applicare: occorrono tamponi e test generalizzati non solo per sintomatici o affini dei soggetti positivi, ma anche per quelle categorie professionali che operano a contatto coi pazienti o col pubblico. La Corea si è distinta per rapidità e numerosità dei tamponi, ce lo conferma Laura, una ragazza che si trova nella capitale sudcoreana per studiare la lingua locale: “Una mia amica è stata sottoposta al test del tampone perché una persona a lei vicina era risultata positiva: si è semplicemente recata all’ospedale, l’hanno sottoposta all’esame dalla sua auto e in poche ore ha avuto l’esito. Di sicuro qui non sono mai mancati i kit”.
La Corea del Sud, ad oggi, ha effettuato 477.304 test di cui solo 10.423 positivi: per fare un confronto, in Italia sono stati effettuati meno del doppio dei tamponi (853.369) ma i casi positivi riscontrati sono oltre 13 volte di più (143.626). I casi in Corea del Sud sono cresciuti velocemente, ma questo perché i tamponi fatti sono stati di gran lunga maggiori di quelli degli altri paesi nello stesso periodo: ciò ha permesso un intervento rapido e mirato che ha portato all’appiattimento della curva dei contagi come la vediamo adesso.
“Sono arrivata a Seoul verso la fine di febbraio – ci racconta Laura – proprio in quel momento c’è stato il picco, non sapevamo cosa sarebbe successo. Sarei rientrata a casa solo se avessero chiuso tutto e bloccato le mie lezioni, ma non è successo. I numeri facevano paura, ma da quando il virus si è diffuso anche in Europa sono stati i miei stessi genitori a consigliarmi di rimanere qui. Nelle ultime due settimane è stato fatto un distanziamento sociale “volontario”, non imposto dal Governo che ha però suggerito a tutti di partecipare il più possibile; la mia università ha deciso di aderire, perciò ho seguito le lezioni online”.
“Da questa settimana invece possiamo seguire le lezioni di presenza, ma abbiamo l’obbligo di lavare le mani e misurare la temperatura prima di entrare nelle aule. In ogni edificio pubblico sono state disposte delle telecamere termiche e in tutti i mezzi di trasporto, ascensori, negozi, ristoranti è disponibile il disinfettante così da sanificarsi le mani dopo aver toccato soldi, pulsanti e simili. Quasi tutti i negozi sono rimasti aperti, ma in pochi escono, quindi le attività stanno risentendo egualmente della crisi: sono uscita in metropolitana e ho acquistato dal negozio di una signora che, disperata, stava svendendo tutta la merce; soprattutto le piccole attività stanno soffrendo molto”.
Altre le richieste promosse dal team di docenti italiani: le app di tracciamento, l’obbligo di utilizzo delle mascherine, più strutture finalizzate ad accogliere e monitorare i soggetti in quarantena e la creazione di reparti ad hoc negli ospedali. Il funzionamento delle app di tracciamento è molto semplice: “Qui siamo tutti automaticamente connessi al sistema di allarme nazionale – spiega Laura – può capitare di ricevere notifiche che allertino la scoperta di un nuovo caso o il passaggio di un infetto in un’area nelle ultime 24-48 ore; a un certo punto hanno iniziato ad arrivare da 5 a 10 notifiche l’ora. Possiamo andare in giro indossando le mascherine e il governo ne assicura due a settimana; se si viene individuati come soggetti potenzialmente positivi si viene sottoposti al test e in caso di mancata collaborazione possono essere imposte elevatissime sanzioni” – fino a 3 milioni di Won (2257,56€) per chi rifiuta il test e fino a 10 milioni di Won (7525,19€) per chi viola la quarantena.
Rapidità, trasparenza e cooperazione costituiscono la chiave di volta del successo coreano nella lotta al Coronavirus: per la “fase 2”, è necessaria anche in Italia grande cautela sia da parte del Governo che dei cittadini. “È sempre possibile controllare gli ultimi movimenti dei soggetti positivi così da evitare i luoghi indicati – continua, chi è in quarantena infatti deve comunicare tutti gli ultimi spostamenti così da registrarli nella mappa -, in molti hanno pensato a questa come un’invasione della privacy e un motivo di vergogna per i contagiati, ma l’applicazione non rileva alcun nome o indirizzo dei malati, solo genere ed età; penso sia stato molto utile. Inoltre, ogni zona di Seoul, nel mio caso Gangnam, ha la propria homepage sempre aggiornata che tiene conto di tutti i numeri relativi ai contagi, alla vendita dei presidi e all’installazione di nuove telecamere termiche”.
Si è deciso dunque di far prevalere l’interesse generale alla salute (peraltro garantito dalla pubblicizzazione del sistema sanitario coreano durante l’emergenza) al diritto alla privacy: l’opinione pubblica si divide così tra chi prende posizione per la riservatezza delle proprie informazioni personali e chi ritiene che questo sia un sacrificio necessario per fronteggiare un nemico comune, data soprattutto la scarsa importanza che viene data alla tutela dei dati sensibili in rete nella quotidianità.
La strada è ancora lunga anche nei paesi asiatici dove non si abbassa ancora la guardia, complice la buona abitudine già in voga a Seoul dell’uso delle mascherine per proteggersi dalle polveri sottili e come forma di rispetto verso gli altri quando ci si sente poco bene. Sojin, un’altra cittadina della grande metropoli coreana chiarisce: “Per quanto riguarda la quotidianità, non si è ancora tornati alla normalità e molti continuano a lavorare da casa; si continua a temere un nuovo picco, quindi restano vietati tutti gli eventi che creano aggregazione: il contagio qui è partito dalle chiese, perciò per prima cosa le celebrazioni si sono spostate online, poi, il primo ministro ha cancellato tutte le manifestazioni, ad esempio i festival per la fioritura dei ciliegi”. Così i fiori sbocceranno sui rami nella quiete delle strade semi-deserte e poi cadranno lentamente, mentre noi inizieremo a rialzarci.
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