“Eye of the storm” è il reportage fotografico di Alex Majoli, fotografo pluripremiato a livello internazionale e membro della grande agenzia Magnum, uscito qualche giorno fa su Vanity Fair, che racconta l’emergenza Coronavirus in Italia. Molti di questi scatti sono stati fatti in Sicilia.
Mascherine, termometri puntati come pistole, camici bianchi, ospedali sono diventati ormai i protagonisti visivi della pandemia Covid-19. Ciò che si vede in TV, restando a casa e intorno a noi, quando si va a fare la spesa. Alex Majoli, classe 1971, è andato nelle strade deserte e negli ospedali per raccontare tutto ciò che sta succedendo in Italia. Ha dichiarato alla nota testata Vanity Fair di aver deciso di scendere al Sud per documentare il punto di vista dei meridionali, in particolar modo quello dei siciliani, che stanno vivendo questo periodo difficile in modo diverso rispetto al Nord. Per questo motivo nel suo lavoro “Eye of the storm” la Sicilia occupa un ruolo chiave.
Il siciliano, si sa per antonomasia, è diverso dagli altri e si distingue per la sua particolare percezione degli avvenimenti: “Sono nato a Nord, a Ravenna – ha detto Majoli nell’intervista a Vanity Fair –. A Nord, le persone sono brave a mascherare la loro angoscia. Ma in Sicilia, tutto è sempre più teatrale, più epico. Provano dolore più profondamente, più filosoficamente, perché la loro visione del mondo è indietro di un paio di secoli. In Sicilia, ho capito, vedrei più di un senso visivo di questa tragedia”.
Nel corso di questa emergenza i siciliani hanno dovuto cambiare radicalmente le proprie abitudini e tutto ciò che è sempre stato normale, all’improvviso, gli è stato vietato per legge o è diventato un reato. Dalla vedova che ogni mattina passa dal cimitero per salutare il proprio marito defunto, alla madre che faceva la spesa in quattro supermercati in quattro paesi diversi, dall’anziano che passava le sue giornate a bordo dei mezzi pubblici, al ragazzo che portava da mangiare al cane abbandonato, al padre di famiglia che giocava la schedina. Dal più grande al più piccolo. Se inizialmente l’emergenza era solo al Nord Italia e il siciliano provava a immedesimarsi catarticamente nel dolore, adesso prende consapevolezza dei limiti della sua routine giornaliera e cerca di inventarsi delle nuove abitudini a lungo termine. Per lui è più doloroso perché ha impiegato tempo e ha fatto una ricerca introspettiva per stabilire le proprie abitudini e staccarsi da questo castello lo mette duramente alla prova.
In questo modo l’inconfondibile bianco e nero di Majoli arriva tra le nostre strade e i nostri luoghi. Il fotografo entra nel lavoro dei medici catanesi e immortala il lavoro di equipe al Cannizzaro fuori e dentro la terapia intensiva, la sanificazione di una barella all’ospedale Garibaldi. La migliore arma umana per tenersi a distanza diventa un termometro in cui traspare l’incertezza dagli occhi, come nel caso della foto scattata ai lavoratori che traghettano a Messina. L’uomo così si abitua anche alla desertificazione delle città, quei posti che da sempre nell’immaginario collettivo sono affollati, come il Duomo di Siracusa e le vie di Catania, che fino a poco tempo fa erano occupate dalle bancarelle per i mercati rionali.I posti a sedere degli autobus dell’Amt vengono recintati dal nastro segnaletico per mantenere le distanze tra i passeggeri. E infine c’è chi si affida a Dio e prega in ginocchio sull’altare della Chiesa di Santa Rosalia di Palermo.
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