Di origini siracusane, Elio Vittorini viene oggi ricordato soprattutto per la sua attività di scrittore. Pochi intellettuali, però, si impegnarono come lui nel rinnovare la cultura italiana. Lo ricordiamo qui attraverso tre dei suoi progetti più importanti.
Pochi intellettuali nel Novecento italiano ebbero l’energia e le capacità di incidere nel loro tempo come Elio Vittorini. Siracusano di nascita e milanese d’adozione, oggi è ricordato soprattutto come l’autore di Conversazione in Sicilia, viaggio di un uomo che torna nella sua terra natìa in preda “ad astratti furori”. Non tutti, invece, conoscono la portata dei suoi interventi come “letterato editore” per numerose delle più importanti case editrici in Italia, come la Bompiani, l’Einaudi e la Mondadori.
Vittorini viene spesso presentato nei manuali di letteratura assieme a Cesare Pavese, con cui creò l’Antologia Americana: una raccolta di racconti tradotti che nell’Italia ancora chiusa dal fascismo davano ossigeno a una cultura soffocata. Spesso nei libri per la scuola lo scrittore siciliano viene liquidato in poche pagine, a cui di frequente non si arriva perché “non c’è tempo” di studiarle. Eppure, il suo lavoro andrebbe ricordato almeno per tre progetti culturali rivoluzionari del tempo in cui visse: “Il Politecnico”, “I gettoni” e il “Menabò di letteratura”, tutti nati nel segno dello “Struzzo” dell’Einaudi.
La rivista diretta da Vittorini nasce a Milano nel ’45, assieme alla sede milanese dell’Einaudi, la terza dopo quella di Torino e Roma. “Questo settimanale intende realizzare un’opera di divulgazione culturale più popolare e immediata. […] esso si propone di portare la cultura ad interessarsi di tutti i concreti problemi sociali in modo da giovare all’opera di rigenerazione della società italiana”, si legge in un comunicato inviato a lettori e possibili collaboratori poco prima dell’uscita del primo numero. E in effetti, dentro il Politecnico si trova di tutto: dalle voci enciclopediche, alla politica, alla poesia. L’insieme, poi, era accompagnato da una straordinaria cura grafica, di cui si dava conto già nel messaggio citato in precedenza. Un vero mosaico sulla carta, la cui alternanza dei tre colori basilari nero, bianco e rosso ha fatto scuola e tenuto banco a lungo nei quotidiani, nei periodici e sulle copertine dei libri.
Nonostante ciò, l’esperienza del “Politecnico” non fu duratura. Oltre all’assenza, a un certo punto, di un pubblico di lettori, tra le decisioni che portarono alla chiusura ci fu la rottura col PCI, simbolizzata nello scontro Togliatti-Vittorini dell’ottobre del ‘46. Alle accuse del segretario del Partito Comunista di aver trasformato le iniziali idee costruttive in pretese enciclopediche e astrattistiche, Vittorini rispose che lo scrittore rivoluzionario non asseconda la politica e che non avrebbe suonato il “piffero” nemmeno per la rivoluzione. Nel dicembre del ’47 uscì quindi l’ultimo numero del famoso periodico, ma dalle ceneri non ancora spente della rivista sarebbe presto nata una delle più famose e studiate collane italiane: “I gettoni”.
In realtà, l’idea di una collana di letteratura tutta sua nasce già nel ’45, quando dopo uno dei tanti battibecchi tra Pavese e Vittorini, tra i verbali delle riunioni Einaudi si legge che i due “si trovano d’accordo […] sul proporre a Roma lo studio di una nuova collezione vittoriniana dove lui faccia quello che crede”. L’idea di una collana di letteratura sperimentale che sia una “palestra per i giovani scrittori italiani”, come la definisce Giulio Einaudi, nasce dalla duplice esigenza di proporre qualcosa di nuovo sul mercato e allo stesso tempo di farlo in un formato economico che risultasse attraente per gli acquirenti e non troppo dispendioso per la casa editrice.
Del criterio economico e dell’inventiva dello scrittore siciliano sono figli i risvolti, marchio di fabbrica dei “Gettoni”. C’è da dire che negli anni ’50, quando nacque la collana, era più in voga presentare libro e autore attraverso delle schede editoriali interne. Un’idea costosa e precaria rispetto all’innovazione vittoriniana, che ha elevato a genere letterario la pratica di scrivere sul risguardo della prima di copertina una rapida introduzione al testo. In quel brevissimo spazio, Vittorini condensava lettura critica, parere personale e presentazione, senza nascondere al lettore quando il libro non gli era piaciuto.
Anche “I gettoni”, tuttavia, ebbero vita breve, chiudendo le pubblicazioni nel ’58, ma riuscirono comunque a essere trampolino di lancio per numerosi scrittori italiani. Calvino vi pubblicò Il visconte dimezzato, convinto da Vittorini a dare dignità di volume al romanzo nonostante il suo scetticismo iniziale per quella che definì solo una “vacanza fantastica”. Assieme a lui, fecero le loro prime apparizioni tra “I gettoni” anche Beppe Fenoglio, autore del più importante romanzo resistenziale a detta di molti, Una questione privata, e un altro siciliano, Leonardo Sciascia, che nella collana pubblicò Gli zii di Sicilia, tra i suoi primi libri di spessore.
Come “I gettoni” erano nati dal “Politecnico”, così il “Menabò di letteratura”, diretto assieme da Vittorini e Calvino, nacque dalla conclusa collana di letteratura sperimentale. La sua attività coincise con il boom economico degli anni ’60 e si chiuse alle soglie della contestazione studentesca del ’68, registrando i cambiamenti che avvenivano allora nella società. Il periodico, infatti, con una o due pubblicazioni l’anno, diede un contributo forse determinante nell’incidere sulla trasformazione del mondo culturale italiano.
Il “Menabò” aveva carattere di rivista e collana letteraria e il suo obiettivo era offrire “un quadro della letteratura in movimento”. Tra i suoi vari numeri, si parlò di neoavanguardia e del rapporto tra letteratura e industria, ma si cercò anche di dare un taglio internazionale agli interventi tramite il progetto parallelo “Gulliver”, pubblicato in Francia, Germania e in Italia. Sotto la duplice direzione di Calvino e soprattutto di Vittorini, “Il Menabò” permise di svecchiare la cultura italiana, contribuendo a superare il neorealismo e rilanciando l’Italia nel dibattito dell’epoca su lingua, letteratura e ideologia.
Proprio al maestro siciliano è dedicato l’ultimo numero monografico della collana. Dopo la scomparsa di Vittorini nel ’66, Calvino tenta di continuare da solo il progetto, come dirà a Giulio Einaudi in una lettera dello stesso anno: “Nella mappa delle tendenze si sente il vuoto di quello che il “Menabò” (almeno potenzialmente) rappresentava e sento che sottrarmi a questa difficile eredità vorrebbe dire prendere la responsabilità di troncare una continuità di lavoro costantemente rivolta al futuro”.
Tuttavia, l’assenza di Vittorini aveva tolto al progetto la sua fiamma iniziale e presto si spense anche quel senso di responsabilità civile invocato da Calvino. “Dopo la sua morte, la mia presenza […] si è andata sempre più attenuando. Senza di lui, mi sono sempre più piegato nel lavoro individuale”, dichiarò lo scrittore ligure a proposito della morte dell’amico e della chiusura della rivista in un’intervista a Marco d’Eramo nel ‘79. Il futuro, comunque, era ancora nel segno dello scrittore siciliano. Già nel ‘65 si discuteva nell’Einaudi di una nuova collana “d’attualità”, il “Nuovo Politecnico”, che nella veste grafica e nell’obiettivo di alimentare l’opinione pubblica tramite saggi di vario genere si richiamava chiaramente all’esperienza rivoluzionaria di Vittorini.
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