L'Italia è il primo Paese in Europa per consumo annuale di acqua in bottiglie in plastica: otto miliardi l'anno. Microb&co, una no-profit nata a Catania e specializzata in ecologia microbica, da diversi anni interviene sul tema, sfatando luoghi comuni e pregiudizi.
Il dossier “Acque in bottiglia” di Legambiente e Altreconomia pubblicato nel marzo del 2018 parla chiaro: l’Italia è il primo Paese in Europa e tra i primi al mondo per il consumo di acqua in bottiglie di plastica. Consumiamo un numero altissimo di bottiglie, pari a 8 miliardi l’anno, equivalente a circa 206 litri pro-capite. Nella classifica del rapporto, questi numeri ci mettono dietro solo al Messico, con 244 litri annui, ma con acquedotti e standard diversi rispetto a quelli nostrani. In questo contesto, l’acqua del rubinetto viene in molti casi evitata, come se non fosse potabile o come se fosse poco sicura, ma c’è anche chi, partendo da Catania, sta provando a sfatare alcuni falsi miti.
“Abbiamo individuato il discorso del consumo dell’acqua come una chiave importante, in cui potevamo fare la differenza”, dichiara Manuela Coci, fondatrice, nel 2012, di Microb&co, un’associazione no-profit con sede a Catania che si occupa di formazione, divulgazione e organizzazione di eventi nel campo scientifico. L’associazione è composta da esperti e ricercatori specializzati in ecologia microbica, una disciplina a cavallo tra i settori dell’ecologia e della microbiologia. Oltre a organizzare eventi su tecniche avanzate di ricerca, dal 2017 Microb&co è scesa in campo nel citizen science, cercando di portare le loro competenze nel quotidiano dei cittadini, a partire dall’acqua che beviamo e, in particolare, dall’acqua dei rubinetti.
Molti, infatti, partono dal presupposto che vi si annidino microbi e batteri o che sia sporca. “Questo avviene per vari motivi – corregge la fondatrice dell’associazione -: in primis per questioni legate alla pubblicità, al marketing. Per esempio, il discorso dell’acqua microbiologicamente pura o anche la campagna di chi vende i filtri, dicendo che l’acqua non deve essere contaminata. In realtà – aggiunge –, l’acqua del rubinetto è buona, anche a Catania. L’acqua di Catania è tutto sommato di qualità, viene dalle falde profonde dell’Etna“.
Da qui nasce, nel 2017, la campagna Bevi Meno Plastica, con l’obiettivo di portare tra le nuove generazioni una maggiore consapevolezza sul consumo dell’acqua. In sintesi, l’iniziativa consente di analizzare l’acqua nelle scuole attraverso parametri chimici e biologici. “Poi ci prendiamo la responsabilità di dire ai presidi com’è l’acqua, che comunque per legge dovrebbe essere potabile“, aggiunge esordendo al riguardo.
La prima scuola ad aderire è stata la Sante Giuffrida, nel 2017, ma oggi la campagna conta, tra Catania e hinterland, 14 istituti. Tra questi, la Cavour-Biscari, il Convitto Cutelli, la Quirino Maiorana, i quattro plessi del Padre Allegra di Valverde, e così via, per attività che variano a seconda delle fasce di studenti coinvolte. Infatti, oltre ad eseguire le analisi dell’acqua assieme agli altri partner dell’iniziativa, Microb&co si occupa anche di promuovere laboratori e questionari per gli alunni delle scuole riguardo al consumo dell’acqua in rubinetto e in bottiglia.
I risultati di quest’ultimi, tuttavia, rispecchiano un po’ quello che accade in Italia. “Il 75% beve l’acqua in bottiglia di plastica; un buon 30% lo fa per abitudine, un altro 30% non ne ha idea o non è informato sull’acqua del rubinetto”, specifica la dottoressa Coci. Eppure, tra chi risponde c’è anche chi è consapevole che se l’acqua in bottiglia non è opportunamente conservata può non essere molto sicura. “Nelle bottiglie, infatti, per quanto in concentrazioni assolutamente inferiori alla legge, c’è comunque un rilascio di plastica – aggiunge -. Cerchiamo di far riflettere la gente su questo: non intendiamo per correttezza scientifica che la plastica fa male, fa venire il cancro, etc, perché è scorretto, ma vogliamo mostrare a quanta plastica siamo esposti”.
L’iniziativa prosegue anche attraverso laboratori specifici, come quello sulle membrane filtranti, che mostra agli studenti come si svolge un’analisi microbiologica dell’acqua, mostrando così quanto l’acqua da bere sia un bene prezioso. In questo contesto, l’Università di Catania patrocina la campagna e le analisi dell’acqua dall’anno scorso vengono svolte in collaborazione col LIAA, un laboratorio certificato le cui analisi hanno un valore altissimo.
A proposito di università, dallo scorso settembre l’Ateneo ha cominciato a distribuire gratuitamente delle borracce in Tritan a tutti gli studenti: una plastica dura, riutilizzabile, installando contestualmente dei distributori d’acqua. “Sono sicura che l’attività dell’università abbia dato un messaggio molto positivo sdoganando un po’ i luoghi comuni sull’acqua. Se si potesse tornare a controllare l’acqua, dando un messaggio di libertà d’accesso, sarebbe una grande vittoria”, dichiara al riguardo la fondatrice di Microb&co.
Su questo tema, infatti, la dottoressa Coci esprime la sua opinione personale e con uno sguardo al passato aggiunge: “Siamo stati costretti mentalmente ad avere con noi l’acqua, perché di fatto c’è stato negato l’accesso all’acqua in un modo di cui non ci siamo nemmeno resi conto negli ultimi 15 anni. Non avrebbe senso trasportare la propria borraccia, ma poter bere liberamente nei posti pubblici”. Anche per questo, uno degli aspetti costanti della campagna di sensibilizzazione al consumo dell’acqua del rubinetto nelle scuole è cambiare la rubinetteria.
Un discorso che non è solo estetico e che permette di sfatare alcuni falsi miti sull’acqua del rubinetto. “Tutti i parametri metallici (piombo, zinco, etc) vengono misurati al punto di distribuzione, quindi non si può raggiungere una concentrazione così elevata da compromettere la bevibilità – specifica Coci -. La condizione dei rubinetti non inficia la potabilità, però un rubinetto sporco è un rubinetto in cui si possono annidare microbi. Tant’è vero che quando si fa il campionamento il rubinetto stesso si svita”.
In conclusione, l’obiettivo comune dovrebbe essere quello di curare individualmente i rubinetti e invitare le istituzioni a fare altrettanto nei luoghi pubblici, magari risparmiando sulle bottiglie in plastica e sostituendo gli aeratori. Riprendendo l’invito finale della dottoressa Coci, insomma, “bisogna riacquisire l’accesso all’acqua e la cura della propria acqua”.
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