Si è discusso molto negli ultimi giorni del toccante discorso tenuto al Parlamento Europeo da Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta ai campi di concentramento: il racconto della sua esperienza e il ricordo degli orrori della deportazione hanno commosso gran parte dei deputati presenti in aula. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato tra i cittadini un aumento esponenziale del negazionismo della Shoah: stando all’ultimo rapporto Eurispes sull’Italia, il 15,6% degli italiani crede che non sia mai avvenuta, mentre il 16,1% ne ridimensiona la portata. I negazionisti erano solo il 2,6% nel 2004. Diventa quindi inevitabile chiedersi da dove venga questo scetticismo degli italiani.
Per far luce sulla questione, ai nostri microfoni è intervenuto il prof. Ernesto De Cristofaro, docente di Storia del diritto medievale e moderno presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania, nonché autore di saggi correlati. “Negare la Shoah – spiega De Cristofaro – implica, quasi sempre, da parte di coloro che si dedicano a questo obiettivo, la necessità di spiegare come la narrazione della Shoah sia sorta, per quali scopi e grazie all’opera di chi. Molti negazionisti attribuiscono all’ebraismo mondiale il disegno di attirare verso il popolo ebraico vittima della Shoah la compassione dell’intero genere umano, con ciò ottenendo un duplice effetto: instillare un generale senso di colpa verso gli ebrei in quanto vittime per definizione del peggior genocidio della storia; generare tutta la possibile comprensione e indulgenza verso le scelte politiche dello Stato d’Israele. A cominciare dalla nascita stessa dello Stato d’Israele sulla base di una risoluzione ONU del 1948.
In definitiva, la Shoah sarebbe, nell’ottica dei negazionisti, l’ennesima versione della cospirazione ebraica mondiale o ‘complotto dei Savi di Sion’ per conquistare i centri del potere finanziario, politico e culturale nel mondo. Non un fatto ma una narrazione strumentale a un obiettivo non dichiarato. È evidente come tale ricostruzione rovesci la realtà trasformando le vittime (gli ebrei) – false vittime secondo i negazionisti – in colpevoli, in quanto fabbricatori di una grande menzogna che avrebbe narcotizzato l’opinione pubblica mondiale. Basti rileggere il post diffuso su Facebook dal professor Castrucci dell’Università di Siena poco tempo fa, nel quale, sotto un disegno raffigurante Hitler, egli scriveva più o meno: ‘lo hanno dipinto come un demonio, ma in fondo voleva solo liberarci da quelli che oggi governano il mondo‘.
In effetti, alla luce del Rapporto Eurispes Italia 2020, un 19,8% degli italiani “ritiene Mussolini un grande leader che ha commesso qualche sbaglio”; secondo un 14,3% “gli italiani non sono fascisti ma amano le personalità forti” o “apprezzano molto i valori di ordine e disciplina” (12,7%); per il 14,1% “siamo un popolo prevalentemente di destra” e per il 12,8% “molti italiani sono fascisti”. Il 26,2%, invece, non condivide nessuna delle ipotesi sopraccitate.
I dati calcolati sul campione Eurispes individuano l’origine dei recenti episodi di antisemitismo in casi isolati e sporadici (61,7%), mentre il 47,5% è preoccupato da una possibile ricomparsa del fenomeno. Nell’era dei social, se da una parte la condivisione rapida di informazioni è un mezzo potentissimo di sensibilizzazione, dall’altra è molto più semplice schernire e diffondere odio e razzismo.
“Le nuove tecnologie – continua il professor De Cristofaro – hanno alcuni vantaggi rispetto ai libri ma anche rispetto alla TV e ai giornali: sono molto più veloci, raggiungono un’utenza potenzialmente molto ampia, non richiedono certificazioni (cioè chiunque può mettere in rete dei contenuti e il fatto che siano in rete per qualcun altro sarà di per sé garanzia di attendibilità e di fiducia). Naturalmente, la rete non è solo delle persone in mala fede e/o ignoranti. In rete passano anche molte cose utili e credibili. Il punto è che chi si avvicina alla rete senza avere punti di riferimento culturali ulteriori rischia di non sapere fare la differenza tra ciarpame e cose di buona fattura”. In questa continua sovrapposizione di verità e inesattezze, persino fonti e testimonianze storiche vengono messe in dubbio, come se queste potessero venir smentite da un momento all’altro come una qualsiasi fake news.
Ancora una volta, il Rapporto Eurispes fotografa la situazione che sta vivendo l’Italia con l’aiuto della statistica: Il 37,2% degli italiani ritiene che gli ultimi casi di discriminazione siano dovuti a delle bravate, scherzi e provocazioni (di pessimo gusto). Il 60,6%, invece, sostiene che siano la conseguenza di un problema più grande, la diffusione generale di un linguaggio che si basa sulla violenza e sull’odio, partendo dai leoni da tastiera fino ai vandali che imbrattano case e strade con simboli nazisti. Qualunque minoranza è soggetta a questo tipo di accanimento e le comunità ebraiche continuano, purtroppo, a essere un capro espiatorio per le frustrazioni altrui.
Lo conferma il prof. De Cristofaro: “Il pregiudizio razziale, ossia ritenere qualcuno pericoloso o disprezzabile, per quel che è, piuttosto che per quel che fa, è certamente frutto di ignoranza e di chiusura mentale e, in alcune fasi storiche, di particolare difficoltà economica e disorientamento culturale, può attecchire e diffondersi più facilmente e massicciamente grazie alla dinamica della ricerca del ‘capro espiatorio’. Se una società vive male, se è attraversata da problemi di varia natura, sarà facile per chi vuole sobillare gli istinti più bassi del popolo diffondere l’idea che il responsabile è qualcuno che è per definizione un ‘alieno’ rispetto alla comunità: un ebreo, uno zingaro, un negro, un omosessuale, un senza fissa dimora… La meccanica del capro espiatorio è una meccanica di canalizzazione delle tensioni sociali e ricomposizione della compattezza del gruppo molto arcaica ma, purtroppo, ancora attiva”.
Rafforzare la coesione sociale e costruire una civiltà basata sul rispetto reciproco sono gli obiettivi chiave ai quali occorre puntare per eliminare al più presto le tensioni che si stanno sviluppando all’interno della società. Gli incontri nelle scuole, le conferenze e le iniziative promosse ogni anno in corrispondenza del Giorno della Memoria continuano a mantenere un ruolo essenziale nella sensibilizzazione delle nuove generazioni, nella speranza che queste forme di complottismo e la generale diffidenza di una buona parte degli italiani vada scomparendo col tempo. È evidente come la rete abbia avuto un forte impatto sulla diffusione dell’intolleranza: coordinare la libertà d’espressione al rispetto della persona umana è la sfida del nostro secolo che, all’inizio del suo terzo decennio, si trova ancora impreparato a gestire il mondo parallelo del web, regolato da una legislazione fin troppo carente e disarmonica.