Secondo il mito, Encelado provocherebbe con la sua furia vendicativa le eruzioni dell’Etna, facendo tremare la terra e sognando la vendetta.
La Sicilia è da sempre soggetto privilegiato dei miti popolari e dei racconti mitologici, per via, probabilmente, della sua bellezza e delle sue terre ricche e affascinanti. L’immaginario umano, infatti, ha nei secoli intessuto trame fiabesche e inverosimili sull’Isola a tre punte, in particolar modo sulla sua maestosa montagna, l’Etna, la cui potenza distruttrice e vivifica al contempo ha sempre animato le fantasie umane. Fa parte di queste fantasie anche il mito di Encelado, il poderoso e temibile gigante di fuoco intrappolato al di sotto delle profondità del Vulcano, di cui provocherebbe le eruzioni e i tremori a causa della sua incontenibile rabbia.
Il personaggio di Encelado è stato raccontato da diversi autori in lingua greca e latina, ma egli appare, soprattutto, come uno dei protagonisti della Gigantomachia, il racconto che narra del violento scontro tra i giganti e gli dèi. Figli di Gea e di Urano, i giganti furono relegati nel Tartaro da Zeus, dopo che egli ebbe segnato la sconfitta del padre Crono. Furiosi per il tradimento del padre degli dèi, quindi, cominciarono a pianificare la propria vendetta, sognando di potere un giorno scalare e impadronirsi dell’Olimpo.
Encelado era una creatura mostruosa, possedeva mani spaventosamente grandi e una barba folta e incolta, come pure le sopracciglia, e al posto delle gambe aveva due squamose code di serpente. Inoltre, dalla bocca emetteva un alito infuocato, che alle volte gli bruciava persino barba e capelli. La sua rabbia era talmente accecata e la sua potenza tale da intimorire persino gli altri giganti, i quali non avevano il coraggio di opporsi a esso e obbedivano diligentemente a ognuno dei suoi ordini.
Il gigante Encelado, risoluto nel voler compiere la propria vendetta contro Zeus, decise, quindi, di arrampicarsi fino all’Olimpo, con lo scopo di spodestare il padre degli dèi e di prendere il suo posto. Per raggiungere il suo fine costrinse i suoi simili a spostate le montagne europee e asiatiche e a disporle una sopra l’altra, in modo da ottenere una sorta di scala di cui Encelado si sarebbe poi servito per salire fin sopra all’Olimpo.
Mentre i giganti si trovano intenti ad arrampicarsi in cima all’Olimpo, Zeus si accorse del tentativo di attacco e, furente, diede inizio alla sua contro offensiva. Raccogliendo tutta la sua rabbia e la sua potenza, il padre degli dèi scagliò un terribile fulmine, che illuminò il cielo e accecò i giganti, i quali caddero a terra in preda a dolori lancinanti. Non pago, tuttavia, il capo dell’Olimpo continuò a scagliare le sue furiose saette, alcune delle quali colpirono le montagne ammassate, che rotolarono sopra i corpi dei giganti.
Encelado, ormai sconfitto, restò sepolto sotto all’Etna e, disperato e preda della rabbia, cominciò a emettere dalla bocca fumo, fiamme e lapilli, che, raggiungendo la cima del Vulcano, provocarono una violenta eruzione. A Encelado non restò altra soluzione se non quella si rassegnarsi, ma, ancora oggi, si narra che la sua furia venga fuori violenta e tormentata e, quando questo accade, dall’Etna si scateni una potenza di fuoco. Si racconta, inoltre, che nel tentativo di liberarsi e afflitto ancora dai dolori della battaglia, egli provochi dei forti movimenti della terra, che fanno sussultare i comuni alle pendici dell’Etna.
Secondo un’altra versione del mito, al contrario, non sarebbe stato affatto Zeus a intrappolare Encelado nelle profondità della terra, bensì Pallade Atena. Quest’ultima, figlia prediletta di Zeus, avrebbe, infatti, deciso di vendicare l’affronto nei confronti del padre e, afferrato un grosso masso, lo lanciò addosso a Encelado, sotterrandolo. Quel grosso masso era, tuttavia, proprio la Sicilia e così il gigante rimase intrappolato con la bocca infuocata al di sotto del Vulcano, la pancia dalle parti di Enna, la gamba destra a Palermo e la sinistra a Mazara del Vallo, mentre le braccia finirono l’una sotto Messina e l’altra sotto Siracusa.
La leggenda di Encelado era talmente diffusa e tale era la soggezione che essa causava nel popolo, che si era soliti imputare le eruzioni dell’Etna al suo respiro infiammato, mentre i terremoti erano associati ai movimenti doloranti del gigante. Non a caso, infatti, ancora oggi in Grecia ci si riferisce ai movimenti della terra, indicandoli in maniera fantasiosa come ai “colpi di Encelado”, proprio in memoria del mito sul gigante di fuoco intrappolato ancora oggi nelle viscere dell’Etna.
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