380 mila giovani laureati hanno lasciato il Mezzogiorno negli ultimi quindici anni: si apre con questo dato di fatto l’incontro tra il ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano e gli studenti al Dipartimento di Economia e Impresa. L’Aula Magna, dove si svolge la conferenza, è piena da scoppiare tra giornalisti, professori e curiosi attratti dal tema dell’incontro, ma soprattutto universitari, accorsi numerosi per assistere alla discussione su Mezzogiorno, giovani e migrazioni.
La diminuzione della popolazione studentesca nel Sud è un numero che si scontra con qualsiasi opinione, intaccando anche gli stessi saluti istituzionali dei padroni di casa, il direttore di Dipartimento Roberto Cellini e il rettore dell’ateneo Francesco Priolo. “È in atto una migrazione intellettuale – dirà quest’ultimo –, che cambia il panorama socio-culturale del Meridione e della Sicilia”. Nell’impossibilità di fermarla del tutto, il grande interrogativo è: come fermarla?
“Come rettore mi impegno a fornire una formazione sempre più di qualità”, ha precisato Priolo, puntando subito dopo l’attenzione sulla necessità di un intervento capace di aumentare l’occupazione post-laurea e cedendo la parola agli specialisti.
Alcuni dati illustrati dal professore Francesco Drago, ordinario di Economia Politica al Dei, fanno luce sui cambiamenti intorno a noi e in Italia. Negli anni 1951-2011 la crescita della popolazione residente delle città in tutta la Penisola ha prodotto come contro-effetto lo spopolamento delle aree interne: una desertificazione del territorio che senza interventi forti è destinata a essere un fenomeno lungo e inevitabile, ha dichiarato il docente.
Nello stesso arco di tempo, prendendo in considerazione Catania e Milano come casi simbolo, il divario in termini di popolazione e ricchezza si è allargato a forbice in maniera quasi esponenziale. Le cause? Tra le tante, ce n’è una che colpisce più delle altre: nel corso degli anni il rapporto tra laureati e abitanti di Milano è cresciuto di continuo, finché, oggi, è più che raddoppiato rispetto a Catania.
“Il Sud non è un luogo a sé stante in cui purtroppo si sono concentrate e combinate tutte le diseguaglianze della nostra società”, ha dichiarato a proposito il ministro aprendo il suo intervento e specificando che gli investimenti nel Meridione sono una priorità del governo e un’opportunità di rilancio e crescita per l’intero Paese.
“Da 30 anni siamo avvitati su questa contrapposizione tra Nord e Sud, uno schema che dobbiamo rompere – ha aggiunto -. Anche la questione migrazione dei giovani va rivista perché la storia dell’uomo è stata sempre una storia di migrazioni, il problema è che il fenomeno di oggi è ben diverso perché i giovani del Sud di oggi lasciano un contesto in cui si vive maggiormente il divario tra cittadini di serie A e di serie B”.
Una percezione creata da numerosi fattori: l’assenza di trasporti e infrastrutture all’altezza, l’incertezza economica, che spinge le giovani coppie a rinunciare a fare figli, e un’emigrazione sempre più precoce. I giovani non lasciano più il Sud solo per cercare lavoro, ma già durante il primo anno di triennale, o al passaggio alla specialistica, dove nel Mezzogiorno si verifica un crollo di iscritti. Un’emigrazione che non produce rimesse, a cui si può rispondere solo ricominciando da zero, come dichiara Provenzano: “Dobbiamo riavviare il processo di sviluppo partendo da politiche coordinate che sono mancate negli ultimi anni”.
A proposito di migrazioni e studenti universitari, il ministro attacca la premialità per gli atenei virtuosi. “Le politiche di finanziamento degli atenei hanno aumentato con meccanismi ottusi le risorse al Nord – ha aggiunto –, premiando solo alcuni atenei e togliendo risorse ad altri con criteri di valutazione che hanno penalizzato alcuni luoghi una concentrazione di risorse al Nord e tolto finanziamenti a quelli che ne avrebbero più bisogno”. Per questo, ha dichiarato al termine della conferenza, il governo è al lavoro per rivedere i criteri ordinari di distribuzione dei fondi.
Oggi più che mai, ha aggiunto avvicinandosi alla conclusione del suo intervento, c’è bisogno di forti politiche di convergenza che puntino sul riequilibrio territoriale: “è la grande opportunità per far ripartire il Paese”, dichiara. Ma gli investimenti del governo centrale non bastano. “Serve una spinta sociale forte, lo sviluppo non è neutro – spiega aumentando il tono di voce e incoraggiando il pubblico, specie i più giovani -. Dobbiamo riscattare questa immagine, rivendicando che a differenza di altre generazioni noi non abbiamo scheletri nell’armadio di spreco del denaro pubblico. Dobbiamo recuperare credibilità facendo vedere i fattori positivi.
In Sicilia il nostro nemico è l’idea che ‘munnu ha statu e munnu è’ – aggiunge Provenzano –, la sfiducia che le idee possano cambiare le cose!”, conclude citando Sciascia e dando la parola agli studenti.
Provenzano a dialogo con gli studenti universitari
Dopo un primo momento di timidezza, al Dei si è creata una lunga fila di domande, tanto che non è stato possibile ascoltarle tutte. Nonostante ciò i temi affrontati sono numerosi. Su tutti, particolarmente care le problematiche relative alla carenza di infrastrutture in Sicilia e il prezzo dei voli per i fuorisede, ma tra i vari interventi avvicendatisi arrivano anche domande relative all’efficacia delle ZES (Zone Economiche Speciali) e agli investimenti pubblici, diminuiti nel Meridione.
“Quando mi sono insediato ho trovato il budget di investimenti pubblici più basso della storia della Repubblica, non solo degli ultimi anni – esordisce il ministro, cominciando dalla fine e rivolgendosi direttamente agli studenti interroganti –, una situazione che investe il Meridione ma anche il Centro-Nord e che è specchio di un Paese che forse non crede più in se stesso. Il crollo degli investimenti pubblici al Sud è stato molto più intenso, con casi anche del 30% in meno. In questo caso, il fatto che siano cresciuti in parte gli investimenti privati compensa l’assenza statale.
Le politiche per il Mezzogiorno – continua, entrando nel merito della discussione – sono diventate meno efficaci quando da politiche di rafforzamento dell’offerta e di investimento sono diventate a tutti gli effetti politiche di sostegno alla domanda. L’unica decontribuzione che sarei disposto a prendere in considerazione per il Sud è quella per le donne, dove c’è il maggior gap di occupazione rispetto alla media europea. Se dovessi dire qual è oggi la questione meridionale, direi che è una questione soprattutto femminile”.
A proposito delle infrastrutture, “non c’è un problema di finanziamenti pubblici – dichiara –. C’è solo nel caso della Catania-Ragusa – specifica Provenzano, toccando un nervo scoperto del dibattito pubblico siciliano di questi mesi – su cui sto lavorando in questi giorni per provare a trovare delle risorse in grado di finanziare l’opera e avviare la progettazione definitiva, che manca. Sulle infrastrutture dobbiamo accelerare la velocità di approvazione dei vari step delle opere”.
Dalle infrastrutture interne al caro voli, il ministro ha detto la sua insistendo sulla condizione di insularità della Sicilia, che “si riflette non solo sul grado di infrastutturazione interna, ma si inserisce all’interno di una grande battaglia che qui non si è mai fatta e che è quella della continuità territoriale. La Commissione Europea crede che la Sicilia sia raggiungibile con altri mezzi, peccato che loro non l’abbiano mai fatto”, continua con un’affermazione amaramente ironica riguardo ai tempi di percorrenza biblici dei treni da Salerno in giù.
“Il tema della continuità territoriale va affrontato non per replicare lo schema sardo di annullamento del mercato ma per integrare una parte di obbligazioni del servizio pubblico, in particolare in alcuni periodi dell’anno, a un investimento per intercettare un mercato decisivo”, specie, aggiunge, riguardo al mercato aereo: “Non so se ci sia qualche compagnia aerea che se ne approfitti, ma l’idea che il mercato possa risolvere il problema da solo si è rivelata falsa. Dobbiamo fare una battaglia politica in Europa che riconosca la continuità territoriale e un servizio pubblico accessibile e dall’altro fare investimenti per attrarre un mercato che cresce sempre di più”.
La chiusura degli interventi riguarda il tentativo di far rimanere i siciliani in Sicilia e dargli modo di avere successo anche rimanendo a casa. “Far rimanere le persone non si può fare per decreto – aggiunge, ammonendo che quando ciò è successo l’umanità ha toccato alcuni dei punti più bassi della sua storia –. Ci sono gli strumenti, come ‘Resto al Sud’, che va in quella direzione. C’è la ‘Strategia nazionale per le aree interne’, che deve diventare una vera e propria politica per non far scomparire queste zone e dargli una prospettiva di sviluppo e lavoro. Dobbiamo attrarre capitale, attrarre risorse umane, è questo di cui abbiamo bisogno”.