Il Centro Antiviolenza Thamaia di Catania minaccia di chiudere: a causa delle inadempienze delle amministrazioni comunali, un luogo importantissimo per le donne rischia di scomparire. Anna Agosta, presidente di Thamaia, spiega la situazione a LiveUnict.
A circa dieci giorni dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Centro Antiviolenza Thamaia di Catania annuncia l’imminente chiusura. L’associazione che, dal 2017 a oggi, aspetta di ricevere un’ingente somma di denaro dal Comune di Catania, per un progetto finanziato dalla Regione Sicilia, è adesso in gravissime difficoltà. Le operatrici del centro, creditrici di ben 70mila euro, chiedono a gran voce i soldi necessari per la sopravvivenza di un luogo insostituibile per le donne del territorio.
Come specificato in un comunicato stampa, pubblicato lo scorso 15 novembre, nell’ottobre del 2016 il Distretto Socio Sanitario 16, con capofila il Comune di Catania, è stato destinatario di alcuni finanziamenti stanziati dalla Regione Sicilia. I fondi sono arrivati esclusivamente grazie alla presenza di una rete antiviolenza costituita dal Centro Antiviolenza Thamaia insieme ad altre istituzioni territoriali. Ad oggi, però, il Comune ha corrisposto solo 13 mila euro per la copertura delle attività finora realizzate. Nonostante i ripetuti solleciti da parte delle operatrici del Centro, l’ente continua a temporeggiare.
“Fin dall’inizio, i tempi sono stati lunghissimi – racconta Anna Agosta, presidente di Thamaia a LiveUnict –. Questi soldi sono arrivati al Comune di Catania nel 2013, loro li hanno messi a bando nel 2016 e noi abbiamo firmato il contratto a gennaio 2017. Quindi i tempi di pubblicazione del bando e di aggiudicazione della gara d’appalto sono stati lunghissimi. Nel 2017, infatti, la Regione aveva già ritirato questi fondi per mancato utilizzo. Grazie a un nostro sollecito, i soldi sono stati riaccreditati nel 2019, ma non ci hanno mai pagato. Adesso c’è un rimpallo di responsabilità, anche dovuto al dissesto economico, ma i nostri soldi non dovrebbero rientrare nel dissesto. Anzi abbiamo avuto notizia che ci sono dei decreti di liquidazione rispetto alle nostre somme, ma di fatto non si è mai sbloccato nulla. La situazione è veramente paradossale”.
La mancanza di fondi ha naturalmente tagliato le gambe al progetto finanziato dalla Regione. Un progetto importantissimo per il territorio, che ha visto le operatrici del centro impegnate contemporaneamente su diversi fronti. Oltre alla formazione degli operatori, al potenziamento del centro antiviolenza, alle attività di sensibilizzazione e ad altre iniziative portate a termine non senza sforzo, sono tuttavia molti i progetti che, per mancanza di liquidità, non è stato possibile avviare.
“Abbiamo dovuto rinunciare ad un’azione indispensabile per le donne che subiscono violenza: le borse lavoro – precisa la Presidente del centro –. Si prevedeva l’attivazione di 13 borse lavoro per 13 donne seguite dal centro, grazie alle quali è possibile avviare dei tirocini formativi con un pagamento mensile. Questi permettono a molte donne di avere una risorsa economica fondamentale per uscire dalla violenza. Spesso il ricatto economico è un ostacolo che non permette alle donne di fuoriuscire da relazioni violente, perché non avendo i mezzi per mantenersi ci pensano due volte prima di allontanarsi dall’uomo maltrattante. Quest’azione aveva un budget di circa 40mila euro, ovviamente noi non potevamo anticipare anche questa somma o costringere le donne a partecipare al progetto per poi non essere pagate. Quindi abbiamo rinunciato formalmente, comunicandolo anche alla Regione. Infine c’è anche un’azione di sensibilizzazione, che abbiamo fatto nelle scuole, per cui si prevedeva la realizzazione di uno spot pubblicitario che non siamo riuscite a fare”.
Nonostante, dal 2016 a oggi, il centro abbia continuato la sua regolare attività di supporto gratuito alle donne del territorio e abbia mandato avanti il progetto finanziato dalla Regione con fondi privati e rateizzazioni, il tempo sembra essere scaduto. Le operatrici sono in gravissima difficoltà e la sopravvivenza del centro è seriamente a rischio. Cosa succederà, quindi, se il Comune di Catania non sblocca i fondi?
“Se entro il 31 dicembre il Comune di Catania non liquida questi fondi, la Regione li ritirerà per la seconda volta e noi saremo costrette alla chiusura – spiega Agosta –. Abbiamo 2 o 3 mesi al massimo di sopravvivenza. Questo progetto ci ha fatto esporre finanziariamente in maniera notevole: è un progetto che si è concluso già a giugno 2018 e abbiamo anticipato tutte le rendicontazioni, quindi siamo in grave difficoltà. Ci avevano anche fatto dei problemi perché non avevamo la partita IVA, quindi l’abbiamo aperta, con tutti costi che questo comporta, per poter fare delle fatture, abbiamo emesso le fatture, abbiamo concluso il progetto un anno fa e nonostante ciò non arrivano i pagamenti. Ma la cosa che ci fa più arrabbiare è che questi soldi sono stati inviati dalla Regione, sono arrivati qui perché il nostro distretto è stato premiato per la nostra attività, per la presenza di una rete antiviolenza che abbiamo costituito noi e che continuiamo a coordinare e promuovere noi. Oltre al danno la beffa!”.
Chiudere un centro antiviolenza come quello Thamaia a Catania sarebbe una grave perdita in termini di diritti delle donne nel nostro territorio. Al di là delle giornate canoniche, infatti, l’impegno delle amministrazioni comunali in tema di violenza e di supporto ai servizi per le donne è pressoché assente e il disinteresse evidente. Quali alternative offrirebbe alle donne il nostro territorio se luoghi insostituibili come questo dovessero chiudere?
“Noi siamo l’unico centro antiviolenza iscritto all’albo regionale nel nostro territorio – conclude Anna Agosta –. Verrebbe meno un importante punto di riferimento, perché il centro antiviolenza non è un servizio come gli altri, è un luogo di donne per le donne, in cui queste vengono accolte in una relazione paritaria con un’altra donna, iniziano un percorso di empowerment e di autonomia, tutto fondato sui propri desideri e sui propri tempi. È cosa ben diversa dai servizi neutri che esistono fuori dal centro. Verrebbe meno un luogo importantissimo che ha anche una valenza politica fondamentale perché noi ci occupiamo di diritti delle donne da anni, attraverso un’azione che non è solo quella del servizio ma un’azione a tutto tondo: di prevenzione, di formazione e di sensibilizzazione. Sarebbe una gravissima perdita per il nostro territorio!”.
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