Secondo il mito Scilla sarebbe poi stata trasformata in una roccia, ma ancora oggi i pescatori temerebbero quel tratto dello Stretto di Messina.
La mitologia greca è ricca di storie d’amore travagliate, passioni non corrisposte, furiose invidie e vendette. La Sicilia, in particolare, è stata teatro e ambientazione privilegiata di questi racconti di fantasia, entrati a far parte a pieno titolo del bagaglio culturale e folclorico del popolo siculo. Tra queste storie si annovera anche quella della povera Scilla, ninfa diventata un terribile mostro marino in seguito a una vendetta d’amore.
Ninfa dai bellissimi occhi azzurri, nella versione più diffusa Scilla è la figlia del dio Forco e di Ceto, sebbene nell’Odissea sia indicata come la figlia della dea Crateide. Conosciuta specialmente in relazione a un altro mostro mitologico, Cariddi, essa fu resa celebre dal poema di Omero e dal personaggio di Ulisse, ma la sua triste vicenda è raccontata anche nelle “Metamorfosi” di Ovidio. Qui l’autore narra dell’amore ossessionato di Glauco per la ninfa e della furiosa gelosia di Circe, che condannò la povera Scilla a un’eternità da mostro negli abissi dello Stretto di Messina.
Si racconta un giorno, che nei pressi dello Stretto di Messina, un pescatore dal bellissimo aspetto, di ritorno da una pesca abbondate, stese su un prato le sue reti per farle asciugare al sole. All’improvviso Glauco, questo il suo nome, si accorse che i pesci, dapprima intrappolati nelle reti, cominciavano a muoversi e insieme si gettavano nuovamente in mare. Preso come da un’illuminazione, si rese conto che il merito di un tale fenomeno era di quella strana erba.
Curioso di scoprire le magiche proprietà di quel prato, mangiò qualche filo d’erba e in quel momento avvertì il pressante bisogno di tuffarsi in acqua. Al contempo il suo aspetto cominciò a mutare, assumendo le sembianze di un dio marino con una lunga coda di pesce e una barba dai riflessi verdi.
Il novello dio Glauco s’imbatté un giorno in una ninfa di straordinaria bellezza, Scilla, e se ne innamorò subito pazzamente. Scilla ascoltò di buon grado le rime d’amore di Glauco, ma scelse infine di rifiutare la sua proposta. L’aspetto del dio marino, infatti, era per Scilla un ostacolo insormontabile, impaurita dalla strana figura di quell’uomo. Glauco, folle di passione, decise, quindi, di recarsi a Creta per chiedere l’aiuto della maga Circe.
Il dio marino desiderava che la maga producesse per lui una pozione che facesse innamorare Scilla, ma Circe era ben lontana dall’accontentare la sua richiesta, essendo, infatti, presa da un’intensa passione quest’ultimo. Si offrì, dunque, all’uomo, ma egli la respinse in nome dell’amore che provava per Scilla.
Circe architettò, così, una crudele vendetta nei confronti della rivale in amore e trasformò la bellissima ninfa in un orrido mostro marino. Contaminò con una pozione magica le acque della caletta in cui Scilla era solita fare il bagno e, nell’esatto momento in cui il corpo della fanciulla fu bagnato, cominciò a mutare. Specchiandosi nell’acqua Scilla osservò con disperazione il suo nuovo aspetto, la sua mole gigantesca, le gambe da serpente e le teste di cani rabbiosi che avevano sostituito il suo bel corpo.
Per la vergogna Scilla scelse di andare ad abitare nelle profondità marine, in una profonda grotta poco distante dalla dimora di un altro mostro marino, Cariddi. Il terribile odio nei confronti di Circe gorgogliava nel suo animo e la vendetta non si fece attendere. La furia di Scilla si abbatté sulla nave di Ulisse, l’unico, che oltre alla nave Argo, aveva avuto il coraggio di attraversare quel tratto di mare. L’eroe omerico sopravvisse, ma perse ben sei dei suoi compagni.
In seguito a questo gesto, racconta ancora Ovidio, il povero mostro marino fu trasformato in uno scoglio, ma pure sotto questa forma sarebbe stato l’incubo dei marinai che se ne tenevano alla larga. Nella realtà, chiaramente, Scilla non è altro che uno scoglio, mentre Cariddi è un gorgo, posti entrambi nello Stretto di Messina. In passato, però, essi rappresentavano davvero un grave pericolo per pescatori e marinai, poiché le imbarcazioni non erano in grado di attraversare indenni quel tratto.
Oggi di questi personaggi mitologici non resta altro che la fantasia e la magia con cui solo i Greci erano in grado di umanizzare fenomeni naturali allora misteriosi, ma che, tuttavia, non smettono di affascinare e restano intrisi nel tessuto culturale e nel bagaglio di racconti della Sicilia.
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