La vecchia dell’aceto era nota a tutti come la strega della Zisa di Palermo. Le sue pozioni erano letali e non lasciavano tracce di avvelenamento.
La tradizione e il folclore siciliani sono ricchi di personaggi strambi e particolari, che si perdono tra realtà e fantasia. In tempi antichi, inoltre, non era insolito che donne ambigue o dalla particolare intelligenza o, magari, ritenute semplicemente diverse fossero etichettate come streghe, provocando una certa soggezione. È questo il caso della vecchia dell’aceto, un’anziana medicante vissuta nel XVIII secolo a Palermo e diventata una vera e propria figura leggendaria per il capoluogo siciliano.
C’è da dire, però, che la vecchia dell’aceto un po’ strega lo era davvero, se non altro per la sua natura scaltra e malevola e per le sue azioni moralmente discutibili. Per il suo tornaconto era solita, infatti, creare pozioni velenose per avvelenare i mariti e ricevere ricompense in denaro da alcune mogli di Palermo.
La vecchia dell’aceto fu un personaggio realmente esistito, che visse e agì a Palermo fino nella seconda metà del Settecento. Pare che da nubile la donna avesse il nome di Anna Pantò, cambiato in Bonanno nel 1744, quando sposò un certo Vincenzo Bonanno. L’anziana donna viveva nel quartiere della Zisa in una condizione di assoluta povertà, benché fosse piuttosto colta per l’epoca.
Sapeva, infatti, leggere grazie agli insegnamenti della nonna e della madre, una capacità non molto diffusa nella Palermo del tempo e che le garantiva l’ammirazione e la fiducia degli altri popolani. Si guadagnava da vivere chiedendo l’elemosina, ma ben presto grazie alla sua mente scaltra la sua sorte cambiò.
La vecchia dell’aceto cominciò a realizzare e a vendere, portandoli in giro nella sua borsa di vimini, diversi unguenti che spacciava come medicamenti da usare in diverse situazioni. Quest’occupazione le valeva, comunque, solo pochi spiccioli che la costringevano ancora a una vita di stenti.
Un giorno, mentre si trovava per le vie di Palermo, la vecchia dell’aceto assistette a una scena che le fece balenare in mente un’idea meschina e pericolosa. Si trovò davanti, infatti, una donna disperata con la figlia in braccio. La bambina stava molto male, poiché aveva ingoiato l’aceto per pidocchi mischiato all’arsenico, e stava quindi per morire. La Bonanno le fece così bere dell’olio, finché la bimba, vomitando il veleno, fu salva.
Al contempo, però, le si accese una lampadina e partorì un terribile progetto. Testandolo su un cane, si accertò che il veleno per pidocchi causasse effettivamente la morte di chi lo ingeriva e, al tempo stesso, si accorse che esso non lasciava alcun segno sul corpo della vittima. Decise, quindi, che si sarebbe messa produrre quell’unguento fatale e lo avrebbe venduto alle mogli palermitane che desideravano “liberarsi” del marito violento, insopportabili o semplicemente di ostacolo a una relazione clandestina.
A Palermo cominciarono così a proliferare le morti sospette di uomini sposati e, puntualmente, la vecchia dell’aceto faceva visita alle mogli per riscuotere il suo compenso. A quel tempo le scarse conoscenze scientifiche rendevano alquanto complicato per i medici stabilire le cause della morte, per questa ragione l’anziana strega poté continuare a lungo quel commercio. Ma la fortuna stava per voltarle le spalle.
Un giorno la vecchia dell’aceto commise un errore di cui si sarebbe amaramente pentita. Consegnò a una sua amica che le procacciava i clienti, una certa Maria Pitarra, una dose di aceto senza informarsi sul destinatario. Scoprì tardi che si trattava del figlio di una sua cara amica, ma non fece in tempo ad avvisarla.
La madre s’insospettì per la prematura morte del figlio, seguita, tra l’altro, dalle repentine nozze della nuora con un altro uomo. Decise di vendicarsi, fingendo di voler acquistare il veleno e smascherando una volta per tutte la Bonanno.
La vecchia dell’aceto poté, quindi, chiudere i battenti, fu incarcerata in un luogo di detenzione per streghe e, una volta processata, fu condannata alla forca. Il 30 luglio 1789 in piazza degli Ottangoli a Palermo (gli attuali Quattro Canti) l’anziana assassina fu impiccata, anche se si narra che il suo spirito non abbia mai lasciato quelle vie e continui a girovagare per le strade di Palermo che erano state la sua casa in vita.
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