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Il mito di Dafni: la storia del pastore siciliano reso cieco dalla suocera vendicativa

In tutte le versioni del mito il bel pastore Dafni emerge come l’inventore della poesia bucolica, ma la sua è una storia tragica tra vendetta e morte.

Il prototipo della suocera maligna e invadente ha costellato la letteratura e la filmografia da sempre, regalando personaggi alle volte grotteschi e strampalati. Sebbene alle volte la realtà superi di gran lunga l’immaginazione, infatti, i racconti di fantasia hanno contribuito a diffondere l’immagine di personaggi spesso irritanti e difficili da digerire. E se siete convinti che le madri moderne siano senza dubbio le peggiori, allora non vorreste trovarvi nei panni del povero Dafni, il bel pastore mitologico reso cieco dalla furia vendicativa della suocera Giunone.

Già gli antichi greci, a quanto pare, si trovavano alle prese con dispute familiari e genitori del partner troppo ficcanaso, al punto che persino molti racconti mitologici narrano di suocere furiose e implacabili. Ne sa qualcosa uno dei personaggi più celebri, il bel pastore Dafni, il cui canto ammaliava umani e divinità, ma che pagò con la morte la propria distrazione.

Figlio del dio Hermes, messaggero dell’Olimpo, e della ninfa Dafnide, nella florida valle lungo il fiume Irminio, nei pressi di Ragusa, viveva sereno un ragazzo di nome Dafni, noto ovunque per la sua straordinaria bellezza e la bravura nel canto. La madre lo aveva abbandonato in un bosco d’alloro sui monti Erei (si pensa che questo nome sia riferito al Monte Lauro della catena degli Iblei), e lì era stato adottato dai pastori, i quali lo avevano istruito nella pratica della pastorizia.

Crescendo, Dafni divenne un uomo dal bellissimo aspetto e quando andava a pascolare il suo gregge egli era solito accompagnarsi con la zampogna e celestiali canti, essendo stato istruito nell’arte musicale niente meno che dal dio Pan. E proprio Dafni, infatti, era considerato nell’antichità come il creatore del canto bucolico, al punto di essere ricordato e citato nella sua opera dallo stesso Virgilio, uno dei maggiori autori della poesia pastorale d’età latina.

Dell’attraente aspetto del semidio e della sua eccezionale voce da usignolo s’innamoravano moltissime fanciulle e, tra queste, anche la ninfa Echemeide, figlia della potente e temibile Giunone. I due si sposarono e alle loro nozze si presentarono molte delle divinità dell’Olimpo, tutte felici di quel lieto evento eccetto una, Giunone. Quest’ultima, nota per la sua indole vendicativa, minacciò il suo giovane genero che, se avesse osato tradire la figlia, egli sarebbe stato severamente punito e privato della vista.

Dafni sia per il suo buon cuore e il carattere onesto, sia per il timore di attirare l’ira della suocera Giunone, non ci pensava neanche a tradire la sua sposa, sebbene molte fossero le donne che tentavano di attirare il suo interesse. La sua fama, tuttavia, diventava sempre più vasta, così un giorno anche il re Zeno volle invitarlo a palazzo per ascoltare una delle poesie del giovane pastore, e durante la sua esecuzione Dafni venne aiutato addirittura da un commovente tramonto e dalla leggera brezza del vento. Tutti i convitati ne rimasero ammaliati, persino la regina Clifene che fu immediatamente sedotta da quel fascino delicato. Pur tentando di sedurre il pastore con tutte le sue armi, la donna fallì e il bel semidio tornò dalla moglie.

La regina, però, non era certo tipo da accettare un rifiuto e, approfittando dell’assenza del marito, organizzò un altro ricevimento cui invitò nuovamente Dafni. Cogliendo l’occasione, diede al pastore un potente vino con effetti afrodisiaci capaci di ottenebrare la mente, creando smarrimento. Portò, quindi, Dafni nella sua alcova e in quel luogo venne consumata la passione adultera. Il danno era stato fatto e non era più possibile tornare indietro. Giunone accecò il genero, che, disperato e confuso dalle tenebre cadute ormai sui suoi occhi, cominciò a vagare per le campagne siciliane, quelle che un tempo furono il teatro della sua vita serena e della sua arte.

Ormai privo di pace, Dafni decise, infine, di togliersi la vita, non potendo più godere della sua antica possanza e ridotto all’ombra di se stesso. Giunto nei pressi di Cefalù, il bel poeta scelse di buttarsi giù da un precipizio, ma, proprio nell’attimo in cui stava per schiantarsi a terra, il padre Hermes ebbe pietà di lui e lo trasformò in una rupe.

Secondo la tradizione quella rupe sorge ancora oggi sul mare di Cefalù, incastonata nella sua costa frastagliata e lambita dalle onde. Si racconta, inoltre, che quel luogo sia pervaso da un profondo senso di tristezza e che il mormorio del mare risuoni in una malinconica sinfonia. La rupe, che secondo il mito fu un tempo il poeta Dafni, è oggi inserita nel registro dei luoghi e dell’identità della memoria della Regione Siciliana.

 

Debora Guglielmino

Classe '94, la passione per l'informazione e il giornalismo mi accompagna sin da quando ero ancora una ragazzina. Studentessa di Scienze della Comunicazione, amo la lettura e le atmosfere patinate ed eleganti tratteggiate nei romanzi della Austen. Appassionata e ambiziosa, sogno di poter un giorno conoscere il mondo e di raccontarlo attraverso una penna e un taccuino.

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