La vita di un universitario è una sfida che diventa ancor più grande quando si ha un bambino. Una studentessa madre ci racconta la sua nuova vita, i ritmi, le difficoltà e le speranze di chi ogni giorno lavora duramente per portare a termine il proprio percorso di studi.
Sono molti gli aspetti che rendono la vita universitaria speciale, e sono gli stessi che ad anni di distanza vengono ricordati. I nuovi ritmi, per esempio, o i pomeriggi trascorsi nelle aule studio insieme ad amici e colleghi. Dopo qualche mese di ripetizioni, tutto diventa scontato e naturale. Routine. Ci sono studenti che, per un motivo o per un altro, sono costretti a rinunciare a determinate dinamiche a causa di problemi lavorativi, di salute, o per prendersi cura di membri della famiglia in difficoltà. E poi c’è una categoria che viene spesso dimenticata dai regolamenti d’ateneo: quella delle ragazze madri.
Oggi vi parleremo di Jennifer, ventitré anni, che appena un anno fa ha conquistato il traguardo della triennale. È stato proprio in quel periodo che hanno avuto inizio i cambiamenti nella sua vita da universitaria, e ne parla con in braccio una bambina di pochi mesi.
A due giorni dalla discussione della tesi, Jennifer ha scoperto di essere incinta. “Progettavo di andare a Cesena, ma vista la situazione ho deciso di proseguire qui a Catania”, racconta. La notizia inaspettata ha condotto Jennifer a un bivio: mettere in pausa la propria vita universitaria o proseguire. Sapeva che non sarebbe stato affatto semplice, non con la nascita della bambina prevista per i primi di novembre e gli esami d’ammissione alla magistrale ancora da affrontare.
Pronta a mettere da parte gli studi, almeno per il momento, ha ricevuto da chi le stava accanto il consiglio di proseguire subito. Una scelta che l’ha portata a sostenere gli ultimi test al nono mese di gravidanza, tra la fatica per lo studio e quella data dalla propria condizione. “Fortunatamente [gli esami] li ho passati con ottimi voti e sono entrata”, aggiunge Jennifer al suo racconto. Il piano era quello di continuare a seguire le lezioni almeno fino alla nascita della bambina. Il caso però ha voluto che di lezioni ne sia riuscita a seguire una sola perché proprio quella sera la piccola ha deciso di nascere.
Con la nascita di Ginevra, Jennifer è stata costretta a rimodellare la vita universitaria in modo da includere la neonata senza pesare troppo sui parenti, soprattutto nei primissimi mesi. “Non seguire le lezioni mi è costato caro – ha ammesso – ho pensato di darmi le materie che mi sarebbero venute più semplici e rimandare all’anno prossimo le materie più difficili così da poter seguire le lezioni, anche se in ritardo di un anno”. In teoria, aveva già trovato la chiave per organizzarsi al meglio; ma poi ha dovuto fare i conti con l’allattamento (che, oltre a richiedere del tempo, le provoca uno stress mentale e fisico non indifferente), le richieste di attenzione della bambina tra i primi gorgoglii e anche qualche normale paturnia. “Una materia che prima avrei preparato in un mese e mezzo [adesso richiede] quasi quattro mesi”.
Ma Jennifer non molla. Bambina (e nonna) al seguito, decide di prenotarsi per il primo esame del nuovo anno accademico. Ma qui arriva il primo intoppo. Come sappiamo tutti, esistono solo due tipi di universitari: quelli che vogliono essere interrogati per primi e quelli che vogliono essere interrogati per ultimi. “Ho provato a prenotarmi il primo giorno disponibile per essere tra i primi e poter tornare subito a casa, ma sono capitata ugualmente dodicesima”. È chiaro che Jennifer non è l’unica studentessa dell’Università di Catania ad aver bisogno di accedere con urgenza agli appelli, ma appartiene a una delle poche categorie che non vengono tutelate.
Secondo il regolamento accademico, in quanto ragazza madre ha diritto ad alcune agevolazioni sulla tassa d’iscrizione ma non può accedere agli appelli straordinari, come invece gli studenti lavoratori, gli sportivi e gli studenti con particolari condizioni di salute, riferisce. Che sia a causa di una carenza da parte dell’ateneo o semplicemente di assenza di comunicazioni tra chi di competenza e le studentesse nelle sue condizioni, Jennifer deve continuare a sperare nel buon cuore dei professori.
Le cose sarebbero indubbiamente più facili con un minimo di attenzione in più verso le neomamme – e non parliamo soltanto di studentesse. Altre università in Italia stanno iniziando ad allestire degli spazi per agevolare studentesse, dottorande, docenti, personale tecnico amministrativo e quant’altro, come per esempio l’Università di Bologna con il suo baby pit-stop fornito di tutti i comfort necessari per l’allattamento o per il cambio del pannolino e, cosa più importante, aperto anche alle famiglie in visita. E poi gli sforzi dell’Università di Trento, che per aiutare una ricercatrice partecipante alla Winter School dell’Associazione Europea di Scienze regionali hanno convertito gli spazi adibiti solitamente a infermeria a una piccola nursery. Un evento che non sarà destinato a restare una tantum, dal momento che l’ateneo ha già in programma di allestire altre sale come questa in via definitiva in più dipartimenti.
Un aiuto simile farebbe comodo anche a Catania, conferma Jennifer: “Potrei organizzarmi più facilmente, e non dover abbandonare mia figlia un’intera mattinata o giornata, perché tra le ore delle lezioni e gli spostamenti passa un sacco di tempo”.
Allestire stanze del genere nel nostro ateneo non aiuterebbe solo Jennifer o solo le ragazze che come lei hanno già dei figli. Si tratta del diritto di non dover scegliere tra la propria istruzione e la famiglia, non essere costretti a rinunciare a un pomeriggio di ripasso con i colleghi o a seguire una lezione o due di una materia particolarmente pesante. Forse Ginevra non userà mai una nursery nei locali del nostro ateneo, ma grazie alla testimonianza di sua madre un giorno potrebbero farlo altri bambini.
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