La storia di Gammazita viene considerata un esempio virtuoso della tenacia e onestà delle donne catanesi e attirò persino studiosi e scienziati alla volta di Catania per il loro Grand Tour.
Nel cuore del centro storico catanese, nell’antico ghetto ebraico, là dove la sera si accende di musica per accogliere la movida locale, si trova un vecchio pozzo d’acqua che tramanda la leggenda della giovane Gammazita. Ancora oggi, infatti, tra i miti e le credenze popolari etnee, quella di Gammazita resta una delle storie più conosciute e apprezzate, tant’è che le sue vicende sono raffigurate persino su uno dei quattro candelabri bronzei di Piazza Università.
La leggenda narra di una bellissima e virtuosa fanciulla catanese, vissuta al tempo della dominazione angioina, la quale era solita recarsi al pozzo per attingervi l’acqua. Di lei pare si fosse invaghito un soldato francese, disprezzato, tuttavia, dalla giovane donna, già innamorata di un altro uomo e sul punto di sposarsi. Il giorno del suo matrimonio la ragazza, come di consueto, si recò al pozzo a prendere l’acqua, ma il soldato colse l’occasione per aggredirla. Sentendo di non avere via di scampo e intenzionata a preservare la propria virtù a tutti i costi, Gammazita decise di buttarsi nel pozzo, preferendo la morte alla violenza del soldato.
Nei secoli la leggenda si arricchì di nuove versioni, sempre più dettagliate e complesse e con nuovi personaggi. Si cominciò a narrare, quindi, di come nel 1278 vivesse una donna bellissima e vedova del signore di Ficara, Macalda Scaletta, contesa e ammirata da tutti i cavalieri siciliani e francesi. La donna respingeva, però, tutte le proposte amorose, essendo follemente innamorata del suo paggio Giordano. Un giorno, tuttavia, quest’ultimo s’imbatté in Gammazita, intenta a ricamare sulla soglia di casa, e se ne innamorò perdutamente.
Macalda, in preda a una pazza gelosia, volle così vendicarsi e si accordò con il soldato francese Saint Victor, per tendere loro un tranello. Se egli fosse riuscito a far capitolare Gammazita, Macalda sarebbe diventata sua. Saint Victor cominciò, quindi, a tentare diverse imboscate, approfittando dell’abitudine di Gammazita di attingere l’acqua al pozzo, finché un giorno riuscì ad afferrarla. La virtuosa fanciulla tentò di divincolarsi ma, sentendosi ormai perduta, scelse di morire gettandosi nel pozzo. Giordano, venuto a conoscenza dell’accaduto, pugnalò Saint Victor sul corpo dell’amata ormai priva di vita.
La leggenda della fanciulla catanese non è, però, l’unica ad aver dato adito alle dicerie riguardo al nome del pozzo, situato nel centro storico. In un panegirico, composto da don Giacomo Gravina in onore del duca di Carpignano dal titolo la “Gemma zita”, si narrano le nozze tra la ninfa Gemma e il pastore Amaseno. La ninfa era amata anche da Plutone e fu così che Proserpina, gelosa, decise di trasformare Gemma in una fonte. Gli dèi, commossi dalla disperazione di Amaseno, trasformarono anch’egli in una fonte, congiungendo le loro acque nel pozzo.
Quali che siano le origini del nome del pozzo, a pochi passi dal Castello Ursino, certo è, tuttavia, che la sua configurazione cambiò durate i secoli, fino a giungere ai nostri giorni per come lo conosciamo. Si sa, comunque, che esso si trovava nell’area medievale della Judecca Suttana, cioè l’antico ghetto ebraico, centro pulsante delle attività commerciali e luogo in cui confluivano numerose sorgenti d’acqua, probabilmente diramazioni dell’Amenano. Nel 1621 il duca di Carpignagno, impegnato in un restauro complessivo della città, dispose che le acque della fonte fossero congiunte con l’Amenano tramite fontane pubbliche.
In seguito all’eruzione dell’Etna del 1669, che, arrivando fino al centro, circondò il Castello Ursino e invase l’area delle sorgenti, Gammazita compresa, il pozzo fu sepolto sotto 14 metri di lava. Abbandonato per un certo periodo, venne però di nuovo riscoperto e valorizzato dagli studiosi europei di stanza a Catania durante il loro Grand Tour. Oggi per poter visitare la fonte bisogna scendere una scala di circa sessantadue scalini che portano a circa 12 metri sotto il manto stradale. Qui è possibile ammirare ancora un tratto superstite della cortina cinquecentesca, luogo in cui scorreva l’acqua sorgiva protagonista dei miti popolari.
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