Prima e lunga serata dell'edizione numero sessantanove del Festival di Sanremo: per la prima volta ventiquattro canzoni in gara, nessuna delle quali sarà eliminata durante le cinque sere. Proponiamo ai lettori di LiveUnict le nostre impressioni dopo il primo ascolto.
Sempre più vicino all’inizio di febbraio, sempre più innovativo nell’ambito delle proposte: il Festival di Sanremo è iniziato, nel segno di “Baglioni 2.0″, riconfermato dopo il record di ascolti della precedente edizione. È difficile ripetersi, questo si sa: per farlo, il direttore artistico si affida a Claudio Bisio e Virginia Raffaele, in una coppia che sicuramente non ha fatto impazzire al suo debutto. Prima serata un po’ sotto tono, dove lo show lascia spazio all’esibizione dei cantanti in gara. Tra gli ospiti, torna Pierfrancesco Favino – tra i più acclamati del successo dello scorso anno – insieme a Claudio Santamaria: applausi anche per i ritorni di Giorgia e Andrea Bocelli, che si esibisce insieme al figlio Matteo.
Se da un lato è giusto lasciare spazio all’ascolto di tutte le canzoni in gara, vera anima della manifestazione, per gli affezionati di Sanremo è giusto aspettarsi qualcosa in più nelle prossime serate: martedì e mercoledì, infatti, le esibizioni dovrebbero essere divise in due metà – 12 big a sera – per lasciare un po’ più di spazio sia all’intrattenimento, sia al secondo ascolto degli artisti in gara. Nel frattempo, abbiamo abbozzato le “prime impressioni”, lasciando fuori ogni pretesa di elevarci a critici o impeccabili intenditori musicali.
Francesco Renga (Aspetto che torni) – Ottava partecipazione per lui, con una performance dal ritmo lento, che non esclude vocalizzi tipici del suo repertorio. La dimensione sentimentale non manca mai sul palco e la canzone lo dimostra, tristezza a parte. In buona sostanza, nulla di nuovo.
Nino D’Angelo e Livio Cori (Un’altra luce) – Un duetto che sembra azzardato, sperimentale come il sound, per esserci sul palco due interpreti della canzone napoletana. Tentativo audace, ma l’impressione è che Nino D’Angelo sia a tratti arrugginito: forse qualche problema tecnico condiziona la buona riuscita.
Nek (Mi farò trovare pronto) – Tra elettronica e violini, conferma il sound dell’ultima partecipazione, senza scostarsi troppo neanche lui dalla dimensione sentimentale. Si mantiene orecchiabile, si assicura il suo (buon) piazzamento in classifica: se ci fosse l’eliminazione, di certo non sarebbe lui quello a rischio.
The Zen Circus (L’amore è una dittatura) – La prima domanda che sorge è se Andrea Appino respiri o meno durante l’esibizione. Sicuramente una novità, che impone lo sforzo di concentrarsi sul testo per una valutazione complessiva. L’Ariston conosce con loro anche gli “sbandieratori 2.0”, con tanto di emoji sui vessilli.
Il Volo (Musica che resta) – Già una volta gli è andata più che bene, trionfando nell’edizione 65: al pubblico piace e gli applausi li prendono come fossero al debutto.
Loredana Bertè (Cosa ti aspetti da me) – La Bertè non perde la caratteristica graffiante del suo sound: sul look, impossibile non notare il borsellino appeso. Le sonorità rimandano a qualcosa di già sentito ma per il resto il brano regge.
Ultimo (I tuoi particolari) – Profondo, nonostante l’età ma già lo sapevamo. Le nuove parole bisognerebbe inventarle anche per descrivere questa canzone, oltre quelle che il cantante richiede nel suo testo. Non è una sorpresa ma una piacevole conferma, che viaggia dritta verso le prime posizioni.
Daniele Silvestri e Rancore (Argento Vivo) – Non è la classica canzonetta di cui il giorno dopo sai già il ritornello: è presto per dire che sia il migliore duetto in gara quest’anno ma le premesse ci sono. Pezzo dinamico e coinvolgente, fuori dal coro della maggior parte in gara. Merita il riascolto nelle prossime sere.
Federica Carta feat Shade (Senza farlo apposta) – Nulla da dire sulla voce, canzone facile, in linea col tema sentimentale. A primo impatto, sembra poco il concentrato di novità ma non dovrebbe essere difficile scalare le classifiche degli ascolti in streaming.
Motta (Dov’è l’Italia) – Sanremo è pronto per l’indie? In molti se lo sono chiesti, mentre lui prova a rispondere a metà tra lo smarrimento proprio e quello nazionale: impossibile non fare breccia nel cuore della critica con un pezzo interamente scritto e interpretato da se stesso.
Achille Lauro (Rolls royce) – Tutti si aspettavano il pezzo trap, che in realtà si camuffa dietro qualche richiamo pop. Non c’è dubbio che la parte del ribelle, quest’anno, la fa lui.
Paola Turci (L’ultimo ostacolo) – Anche per questa edizione, la sua presenza sul palco è elegante, confermata da un look cui gli spettatori sono già affezionati da qualche anno. Delicata anche la canzone, che permette anche alla Turci di mantenersi una piacevole conferma.
Boomdabash (Per un milione) – Canzone fresca e gradevole, dal sound emotivamente coinvolgente. Tra gli alternativi sono una gradita sorpresa ed il pezzo è tra i più ballabili: non sembra difficile neanche memorizzare il ritornello dopo due o tre ascolti.
Patty Pravo feat. Briga ( Un po’ come la vita) – La presenza di lei è sempre positiva, Briga è la novità in un duetto che non dispiace. Un esperimento tutto sommato riuscito, problemi tecnici permettendo.
Negrita (I ragazzi stanno bene) – Sedici anni dopo poche novità su quel sound che già ci hanno fatto conoscere. La vera domanda è se gli aretini stanno così bene da poter puntare ai gradini più alti.
Simone Cristicchi (Abbi cura di me) – Uno dei testi da brividi dell’edizione, che ci ricorda che soli si può stare bene ma in due è sempre meglio. Una poesia accompagnata dalla musica, in cui l’interprete si sposa bene con il resto.
Arisa (Mi sento bene) – Un inizio statico, che poi esplode in una vivace liberazione dell’io, inneggiante all’ottimismo. Lo dice anche la canzone ma bisogna aggiungere un punto interrogativo: “forse non è niente di speciale” ?
Ghemon (Rose viola) – C’è un qualcosa che ricorda anche Neffa ma sotto certi aspetti ha un suo stile ed anche un suo fascino. Merita qualcosa in più, a partire dal riascolto.
Einar (Parole nuove) – Un po’ come Ultimo, anche qui qualcuno cerca nuove definizioni all’universo sentimentale, magari con un pizzico in più di emozione da debutto. Chissà che non sia una timidezza pari a quella degli applausi ricevuti.
Ex-Otago (Solo una canzone) – La prima impressione è che la voce sia una buona imitazione di Jovanotti (ma è solo un’impressione). Il risultato, per una canzone pop, non è malvagio.
Anna Tatangelo (Le nostre anime di notte) – Voce sempre bella ed elegante; gradevole all’ascolto ma la canzone non sembra delle più memorabili.
Irama (La ragazza con il cuore di latta) – Bersaglio centrato, nell’ambito delle canzoni di protesta, rafforzato anche dall’eco niente male del coro in stile gospel alle sue spalle. Anche qui uno sforzo in più per il riascolto (anche a causa dell’orario).
Enrico Nigiotti (Nonno Hollywood) – Finalista ad X Factor 2017, anche lui ad un anno dai talent sbarca a Sanremo. Canzone nostalgica e personale, che tra testo e sound sembra più guardare indietro che avanti.
Mahmood (Soldi) – Nonostante l’esibizione in tarda serata, fa il suo effetto. Interpretazione non banale e performance gradevole, con un tocco arabo che non dispiace.
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