In una cappella gentilizia del cimitero di Catania risiede una mummia risalente al 1911. Si tratta di una giovane ragazza, morta suicida agli inizi del secolo scorso, con un'infelice storia che l'ha accompagnata anche dopo la sua scomparsa. Oggi il suo corpo non è più visibile, ma i catanesi continuano a raccontarne la storia.
C’è chi la chiama la “bella addormentata catanese” e chi la conosce semplicemente come la “mummia di Catania”. Su di lei si raccontano ancora oggi storie e leggende, ma la sua vita non è stata diversa da quella di milioni di donne. Stiamo parlando di Angelina Mioccio, una giovanissima donna morta suicida nel 1911, mummificata e conservata nella cappella di famiglia al cimitero di Catania. A detta degli esperti, si tratta di una testimonianza preziosissima delle tecniche di imbalsamazione ancora in uso nel ventesimo secolo, ma è stata soprattutto la sua sfortunata storia a suscitare interesse tra gli abitanti della città etnea.
Figlia di una facoltosa famiglia catanese di origine ebrea, pare che Angelina Mioccio abbia vissuto la sua vita nell’agio e nel lusso fino all’età di diciott’anni quando, raggiunta la cosiddetta “età da marito”, le sue sventure ebbero inizio. Figlia prediletta del padre, la giovane pagò a caro prezzo tale privilegio e fu promessa in sposa, contro il suo volere, a un ricco avvocato di dieci anni più grande di lei per il quale non nutriva il benché minimo interesse. Angelina era innamorata invece di Alfio, un lontano cugino di bassa estrazione sociale, che ricambiava i suoi sentimenti. Il giovane lavorava per il padre di Angelina e, per paura di perdere il lavoro, non ebbe mai il coraggio di affrontare l’uomo per chiedergli la mano della figlia. Tale debolezza, Alfio la rimpiangerà per tutta la vita.
Disperata per l’infelice destino che qualcun altro aveva scelto per lei, Angelina decise infatti di suicidarsi: meglio la morte che restare un mero oggetto di scambio per tutta la vita. Così, nel 1911, si getta nel vuoto, dalla torre del Castello di Leucatia (oggi restaurato e, dal 2001, adibito a biblioteca) che il padre stava facendo costruire come dono di nozze per i futuri sposi. La sfortunata Angelina, tuttavia, non troverà pace nemmeno dopo il suicidio. Vittima e specchio di una società fortemente patriarcale, come quella siciliana di inizio Novecento, dopo la morte, la giovane verrà imprigionata nel proprio corpo dai genitori che sceglieranno di farla imbalsamare per eternare la sua bellezza. Beffarda sarà la scelta di un abito nuziale come capo mortuario.
Al posto del castello, i genitori decideranno così di regalare alla figlia una cappella presso il cimitero monumentale di Catania, e il corpo imbalsamato di Angelina verrà esposto dietro una teca di vetro. La sua storia non riuscirà a trovare conclusione nemmeno dopo la sepoltura. A coronare l’infelice vicenda ci penseranno, infatti, una serie di recenti peripezie, che hanno tuttavia avuto il merito di portare la vicenda alla luce del sole, suscitando l’interesse di cittadini, esperti e giornalisti, tra cui anche Rossella Iannello, firma de La Sicilia, che nel 2017 ha pubblicato un docu-romanzo intitolato “La Bella Angelina”.
Fino a pochissimo tempo fa, infatti, prima di essere murata e dichiarata a rischio crollo (si dice che da una fessura la mummia s’intraveda ancora), la cappella Mioccio giaceva in stato di completo abbandono tra la totale indifferenza degli eredi della famiglia. Complici l’incuria e un gruppo di ladri intrufolatisi nella cappella per rubare oggetti preziosi, la teca dietro la quale era conservato il corpo di Angelina risultava totalmente distrutta e la salma rischiava di andare perduta. A “prendersi cura” della fanciulla, prima della chiusura, soltanto un uomo che diceva di aver visto Angelina in sogno: per mesi, il quarantenne si è occupato di lei, senza autorizzazione e rischiando di danneggiare il corpo, pulendo di tanto in tanto la cappella e riempiendo la tomba di bambole, fiori e orsacchiotti.
Al di là dei risvolti macabri della vicenda e nella speranza che il corpo della giovane possa finalmente trovare la pace tanto agognata, Angelina è ormai per i catanesi un vero e proprio simbolo. Divenuta, per un certo periodo, oggetto di culto con numerosi visitatori che, passando, decidevano di regalarle un fiore, il corpo imprigionato della giovane è oggi una doppia testimonianza storica importantissima: di una raffinata tecnica di imbalsamazione che dovrebbe assicurare ad Angelina un posto migliore dei ruderi di una vecchia cappella, ma soprattutto di un’epoca dai contorni ben definiti, la Sicilia di inizio Novecento. Una Sicilia in cui il destino di tutte le giovani donne, considerate di proprietà prima del padre e poi del marito, non era quasi mai diverso da quello di Angelina Mioccio.
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