Quelli del 2017 sono dati difficili da etichettare come “buoni” o “cattivi” per la nostra regione. Export, traffico aereo e presenza turistica fanno tirare un respiro di sollievo (rispettivamente +30,4%, +9,5% e 7%), ma dall’inizio della crisi economica nel 2008 la Sicilia resta relegata in fondo alle classifiche, con percentuali di povertà e disoccupazione preoccupanti.
I dati Bankitalia parlano di incrementi dell’occupazione, 15mila posti in più rispetto agli anni precedenti, ma ci si dimentica che la percentuale degli inoccupati è ancora troppo alta. Un dato preoccupante per chiunque, nessuna categoria esclusa. Più del 50% della popolazione vive con la costante minaccia della povertà ed è spesso costretta a indebitare metà del proprio stipendio per pagare l’affitto, le utenze e perfino le spese obbligatorie.
Si tira a campare, ancora, per vedere quelle percentuali crescere uno striminzito punto percentuale alla volta e sperare che l’effetto non sia negativo. Perché per ogni nuovo occupato segnato nelle statistiche, c’è più di un laureato che non lo è. Si stima che in dieci anni il numero di laureati con un lavoro stabile sia quasi la metà della media UE (19% contro il 33%) mentre ad aver abbandonato la Sicilia sono stati in 39.000. Per farvi capire la gravità della situazione, è come se un po’ per volta la popolazione di un piccolo centro fosse andata via fino a lasciarlo deserto. Del problema parlano periodicamente tutti, chi con toni aspri, chi in modo più diplomatico, ma comunque se ne parli la Sicilia perde ogni anno una media di quasi 4.000 giovani che hanno studiato nelle sue scuole e università, potenziale forza lavorativa specializzata che rischia d’essere rifiutata perché “troppo qualificata”, con poca esperienza o sfruttata fino allo stremo.
Dove vanno a finire i laureati siciliani? Al centro-nord, nella maggior parte dei casi, ma anche all’estero, agevolati dai programmi di tirocinio internazionali o da amici e parenti “apripiste” ai quali appoggiarsi nei primi periodi di permanenza in terra straniera. Una scelta difficile, ma l’unica che ti garantisce un futuro in cui sarai in grado di pagare le bollette da solo.
Per creare occupazione bisognerebbe sbloccare i finanziamenti per le aziende e le imprese, ma le banche non sembrano disposte a correre il rischio. E nel frattempo le famiglie a reddito minimo continuano a indebitarsi per permettere ai figli di studiare o per mantenere quelli che non trovano lavoro. Un circolo vizioso che non sembra destinato a interrompersi tanto presto.