Una ricerca condotta dall'INGV in collaborazione con l'Università Blaise Pascal di Clermont Ferrand, apre la strada ad uno studio accurato della struttura superficiale delle colate di lava a al monitoraggio di un'eruzione effusiva.
Una ricerca, condotta dall’INGV in collaborazione con l’Università Blaise Pascal di Clermont Ferrand, ha permesso di ricostruire, con un sistema combinato drone-fotogrammetria SfM, il modello 3d ad alta risoluzione del campo lavico del 1974 dell’Etna. Il lavoro, pubblicato su Bulletin of Volcanology, apre le porte a nuove prospettive nello studio della struttura superficiale delle colate di lava e nel monitoraggio di un’eruzione effusiva.
I fenomeni vulcanici come colate laviche, i flussi piroclastici e i lahars (colate di fango) sono sempre più pericolosi ed è quindi necessario cercare di prevederne i comportamenti con molta accuratezza; a tal fine, disporre di una topografia digitale il più possibile aggiornata e dettagliata è un requisito fondamentale.
Le tecnologie e i metodi per la realizzazione in tempi ridotti e a basso costo di accurati modelli digitali del terreno (DTM), sono descritti nello studio UAV-based remote sensing surveys of lava flow fields: a case study from Etna’s 1974 channel-fed lava flows, condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con l’Università Blaise Pascal di Clermont Ferrand e pubblicato su Bulletin of Volcanology.
“In un vulcano attivo come l’Etna – spiega Alessandro Fornaciai, ricercatore dell’INGV della Sezione di Pisa – è fondamentale aggiornare con frequenza la topografia dell’edificio vulcanico. I DTM infatti sono fondamentali per poter usare modelli che sono in grado di prevedere ad esempio il percorso che seguirà una colata lavica in caso di un’eruzione effusiva. Per avere risultati attendibili, è però necessario che i dati siano accurati e costantemente aggiornati. La fotogrammetria Structure From Motion (SfM) ha aperto nuovi scenari applicativi anche in vulcanologia, perché permette di produrre modelli digitali del terreno ad alta risoluzioni, in modo rapido e con costi contenuti.“
I droni sono le piattaforme più adatte per sfruttare al meglio le potenzialità della fotogrammetria SfM poiché permettono di sorvolare aree di grandi dimensioni; inoltre, se dotati di macchina fotografica, come in questo caso, riescono ad aquisire una grande quantità di immagini utili per la costruzione del modello. “In questo studio è stato usato un drone, o per meglio dire, un Sistema Aeromobile a Pilotaggio Remoto (SAPR), a sei eliche – afferma Luca Nannipieri, tecnologo dell’INGV e pilota del drone – in grado di volare per circa 20 minuti. Autonomia che ha consentito di sorvolare grandi aree, in tutta sicurezza, acquisendo informazioni anche in zone di difficile accesso”.
Il modello digitale ricostruito, è stato poi confrontato con il modello ottenuto mediante la tecnologia laser scanner da aereo Light Detection and Ranging (LiDAR). “I due modelli non solo sono del tutto comparabili – afferma Fornaciai – ma con l’uso del drone e delle tecniche di SfM è stato possibile costruire un modello digitale ancora più dettagliato che ha permesso di vedere e di ricostruire strutture presenti sulla superficie della lava non individuabili con il LiDAR”.
“Infine – conclude Sonia Calvari, dirigente di Ricerca dell’INGV di Catania – i vantaggi logistici, la rapidità di acquisizione delle foto e della ricostruzione del modello del terreno ottenuti, grazie al sistema drone e fotogrammetria SfM, offrono nuove opportunità di monitoraggio e di sorveglianza di un vulcano attivo in caso di un’eruzione”.
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