In lieve miglioramento rispetto al 2016, le statistiche italiane per laureati e diplomati risultano comunque molto distanti dalle medie europee.
Arrivano i dati Eurostat 2017, ma assieme a essi quasi nessun miglioramento. Dal 57,7% del 2016, la percentuale dei neolaureati under 35 impiegati entro tre anni è salita impercettibilmente, soffermandosi al 58%. Questo dato si ritrova parecchio al di sotto della media europea, che vede l’82, 7% degli under 28 che hanno completato l’istruzione terziaria inserirsi nel mondo del lavoro.
Una triste constatazione tecnica che posiziona l’Italia al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia. Si ricordino infatti i dati della Germania, dove lavora il 92,7% delle persone, oppure ancora il Regno Unito, con il suo 89% dei neolaureati con un posto di lavoro.
Ai diplomati italiani va ancora peggio: a lavorare sono solo il 29% dei possessori di un diploma generale, mentre sono circa il 45% i lavoratori muniti di solo diploma tecnico. Anche questi dati sono ben lontani dalla media europea: basti pensare che il primo dato è di circa trenta punti sotto le statistiche UE, mentre i secondi sono il 73,4%.
Vale la pena citare anche i cosiddetti Neet: i giovani che non studiano, né lavorano o seguono corsi di formazione occupano circa l’84% della media italiana, a fronte del 15% circa di coloro i quali hanno fermato i propri studi alla terza media e sono riusciti a trovare lavoro.
Le cause di questa percentuale bassa a confronto con gli altri Paesi europei sono ben note: le norme per il pensionamento che si fanno sempre più strette e ritardatarie costringono i lavoratori a rimanere al proprio posto fino ad un’età avanzata, penalizzando così i giovani che hanno terminato i propri studi e che sono pronti per affrontare la vita lavorativa.
I dati del 2017 sono leggermente migliori rispetto al 2016 e decisamente in rialzo rispetto al disastroso 49% del 2014: eppure non è ancora abbastanza. Ciò che ci si domanda è quando, finalmente, i giovani italiani avranno gli stessi diritti al lavoro dei propri coetanei europei, eliminando di conseguenza la triste fuga di cervelli che incide ormai da tempo sui dati e sulle statistiche italiane.
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