Il live report dell'ultima tappa siciliana del tour dell'artista campano andata in scena sabato scorso al Ma.
“Catania, una serata che non dimenticherò”. Sono queste le parole che utilizza Ghemon sui social per riassumere la data del suo “Mezzanotte Tour”, tenutasi sul suggestivo palco del Ma, nel capoluogo etneo.
Il cantante, classe 1982 e originario di Avellino, è uno dei più talentuosi e apprezzati artisti hip hop italiani. Negli anni ha saputo rinnovare il suo personalissimo stile caratterizzato da temi profondi e rime molto curate sotto l’aspetto lessicale, caratteristiche che fanno di Gianluca Picariello (è questo il suo nome all’anagrafe) un artista a metà tra un cantautore e un rapper: un caso quasi unico all’interno dello scenario rap tricolore.
Ghemon è sbarcato la scorsa settimana in Sicilia col nuovo album “Mezzanotte” che, interamente suonato, ha cambiato il modo di intendere il rap e la musica black in Italia.
L’artista ha lavorato duramente in studio (e non solo) insieme alla sua band per il nuovo lavoro: si evince sin dal primo brano in scaletta, Impossibile, le cui note risuonano quando sono appena passate le 22:45. Subito dopo è la volta di Quando imparerò, cui segue Cose che non ho saputo dire magistralmente legata a Magia Nera dalla straordinaria band sul palco (Wena ai cori, Teo Marchese alla batteria, Ivo Barbieri al basso, Filippo Ponzoni alla chitarra e Giuseppe Seccia alla tastiera).
Durante il live, quindi, Ghemon alterna pezzi di “Mezzanotte” con alcuni del precedente disco “Orchidee” fino a rispolverare perle più datate – per i fedelissimi – come Scusa e Aspetta un minuto.
“Mezzanotte” è un album coraggioso, carnale, fisico, dove la musica è la terapia per riemergere da momenti difficili, un bilancio sincero nonostante i successi e gli eccessi, insomma un’autoanalisi dell’uomo Gianluca prima che dell’artista Ghemon: non uno sfogo, ma le considerazioni di un giovane adulto che continua a lavorare su se stesso, rivelando senza filtri il suo mondo interiore dove le cose che prima erano sussurrate con eleganza ora sono urlate con forza. Il tema della depressione su tutti – “quella parola con la d che ti rompe il cervello” – viene ripreso dall’artista proprio prima della hit in cima ad ogni classifica italiana, Temporale.
Ghemon tiene inoltre a specificare come “ questa è una tappa un po’ speciale – non ve lo dirò il perché – ma è come se questo disco l’avessi scritto per una di voi e questa sera è molto molto speciale per me. Senza questo concerto questo disco non avrebbe tutto il senso che ha”.
Poche parole tra un pezzo e l’altro, ma quel tanto che basta per aver la sensazione di cogliere – anche senza conoscerlo personalmente – una persona gentile, pura e che “ha sofferto ma non ha mollato”. Con Bellissimo, il cui ritornello viene urlato a squarciagola dal pubblico confermandosi tra i pezzi più riusciti del nuovo album, si conclude la prima parte del concerto.
Il bis è d’obbligo e dopo qualche minuto la band risale sul palco: Quassù è il primo pezzo dell’encore (in cui spiccano le qualità canore della corista, tanto che si intravede un Ghemon stregato dalla potenza vocale di Wena, prima di riprendere il centro del palco); poi tocca ad Adesso sono qui (il capolavoro del precedente album) ed infine Dopo la medicina (il cui”fanculo” rimbomba in tutto il locale) suggella uno spettacolare live facendo letteralmente accapponare la pelle.
Se “Orchidee” è stato un primo esperimento di mischiare pop, rap, soul, funk e jazz, “Mezzanotte” è la consacrazione di qualcosa di unico, dove le influenze black si legano alla musica italiana riuscendo anche a trovare uno spazio vitale per la tradizione hip hop. Il disco parla di sofferenza e rinascita, solitudine e delusione non come emozioni fine a se stesse, ma come difficoltà da cui trarre insegnamenti positivi per una nuova consapevolezza di sé.
Nel live, Ghemon crea un’atmosfera intima – fatta di stupore e note buone – ma allo stesso tempo energica in cui vengono raccontate le sue relazioni con donne, i rapporti interpersonali, le cadute e le risalite nell’oscurità di una galleria la cui fine però lascia sempre intravedere una luce. E per un sabato – per tutti i fotunati presenti – quella luce è stata lui, capace di illuminare l’ora più buia della notte catanese.
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