Le Giornate Fai di Primavera sono un’occasione culturale e artistica unica perché permettono scoprire di luoghi del nostro territorio spesso chiusi al pubblico. Tra i tesori nascosti della città di Catania, nella ventiseiesima edizione delle Giornate Fai di Primavera, abbiamo visitato il Palazzo dei Minoriti, attuale sede della Prefettura e dell’Avvocatura della città.
Il Palazzo dei Minoriti, in via Etnea 73, prende il nome dall’ordine dei Chierici Regolari Minori, che si stabilirono a Catania per la prima volta nel 1628, costruendo un convento proprio in questo luogo. Il convento fu, tuttavia, distrutto dal terremoto del 1693, che devastò parte della Sicilia orientale. L’Ex convento dei Minoriti, fu poi ricostruito, dopo il sisma nel Settecento, ma i Chierici dovettero lottare per ottenere il Palazzo.
“Essendo via Etnea la più prestigiosa di Catania, abitata principalmente da nobili – spiegano Federica e Giorgia del Liceo artistico Lazzaro di Catania – tutti gli ordini religiosi furono spostati in via Crociferi. Gli unici Chierici che riuscirono a ottenere la struttura e la Chiesa di San Michele Arcangelo furono appunto l’ordine dei Chierici Minori, dal quale il palazzo prende nome.”
Il Chiostro del Palazzo, oggi utilizzato per varie mostre e mercatini locali, veniva usato dai Chierici per autofinanziarsi, cioè per vendere al popolo i beni da loro prodotti, mentre al piano superiore c’erano le celle. “Il Chiostro – continuano le due studentesse – come il Palazzo è in stile tardo barocco, anche se la corrente artistica catanese che caratterizza questo periodo è una corrente a sè stante, un barocco siciliano, caratterizzato da forme più classicheggianti” .
Pierfrancesco, giovane cicerone del Liceo Classico Mario Cutelli si è occupato, invece, della struttura architettonica del Palazzo: “Il Palazzo dei Minoriti ha la facciata prospiciente via Etnea, che è caratterizzata da tre livelli: i primi due costruiti originariamente dopo il terremoto del 1693, da Francesco Battaglia, in stile tardo barocco, mentre il terzo piano è stato costruito successivamente negli anni 30 dell’Ottocento da Sebastiano Ittar, che semplificò lo stile del palazzo.
“Il primo livello – ha raccontato – è caratterizzato da dodici archi a sesto acuto ciechi, sostenuti da colonne binate su piedistalli. Negli archi si aprono le botteghe e i balconi dell’ammezzato. Le botteghe, attualmente sostituite dai negozi, all’epoca venivano affittate dai Chierici. Il secondo piano, il piano nobile, è invece caratterizzato da un balcone unico, da dodici aperture che riprendono in perfetta simmetria gli archi, abbinate a timpani arcuati e separate da lesene doppie con capitello elaborato. Mentre il terzo piano riprende ancora in modo simmetrico le finestre, ne ha sempre dodici, separate anch’esse da lesene lisce ma con capitello semplice.”
Nel 1866, con la soppressione dei beni ecclesiastici da parte dello Stato, il Palazzo venne sottratto ai monaci e fu affidato alla nascente Amministrazione provinciale di Catania, che prese la metà della struttura su via Manzoni e affidò la metà su Via etnea alla Prefettura. Questi due Enti, avendo bisogno di più spazio fecero chiudere i portici dei colonnati del cortile interno per costruire nuovi vani, deturpando l’architettura originaria. Nella seconda guerra, nel 1943 il Palazzo subì un bombardamento, in seguito al quale venne distrutto il secondo piano e il Palazzo danneggiato venne ricostruito negli anni 50. Negli anni 60, però, ancora una volta vennero fatti dei lavori di ampliamento che deturparono la struttura dalla parte di via Manzoni. Soltanto negli anni 90 la presidenza della Provincia fece demolire le strutture aggiuntive, restituendo al Palazzo l’originaria struttura architettonica.
All’interno il Palazzo dei Minoriti presenta diverse sale, abbellite da dipinti di artisti catanesi. Il primo dipinto è un’opera realizzata da Sebastiano Milluzzo, artista nato a Catania nel 1915 e morto di recente nel 2011. Milluzzo ebbe un’intensa vita artistica, che lo vide impegnato non solo come pittore, ma anche come grafico, come scenografo di teatro e come insegnante di disegno e storia dell’arte nel liceo magistrale di Catania.
Il linguaggio del pittore tende al naturalismo e all’espressionismo. All’inizio della sua carriera prende ispirazione dagli artisti come Cezanne e Gauguin e dal movimento post impressionista che vi è alla fine dell’Ottocento. Successivamente si ispirerà a Picasso e alle avanguardie storiche”- ci rivela Beatrice, anch’essa studentessa del Liceo Classico Mario Cutelli, preparata sulla biografia dell’artista catanese.
A spiegare nel dettaglio, l’opera, esposta al Palazzo dei Minoriti, è invece Cecilia, studentessa del Liceo Cutelli: “L’opera risale al 1950 e ha come tema centrale la ricostruzione della città di Catania. Si notano sullo sfondo, infatti, degli elementi architettonici tipici della città: una cupola, gli archi della marina, il porto e il mare. Nel dipinto la figura che predomina è una statua di donna, che indossa un peplo e porta uno scudo dove è raffigurato un elefante, simbolo della città di Catania. Altre figure presenti sono quelle di uomini che hanno contribuito alla ricostruzione della città. La gru presente nel dipinto è proprio il simbolo della ricostruzione avvenuta nel secondo dopoguerra.”
“Un lavoro che non è stato affatto facile, quello di reperire informazioni sull’artista e sul dipinto in questione” – ha dichiarato Beatrice. “L’analisi è stato il frutto di un’attenta osservazione e comprensione del dipinto stesso.”
Il secondo dipinto appartiene ad un altro artista, originario di Zafferana Etnea, Giuseppe Sciuti. “La data di realizzazione dell’opera è incerta, perché ci sono ipotesi che la collocano nel 1895 e altre nel 1902″, ci rivela Pierfrancesco. “La grande tela era stata realizzata per il Palazzo del Comune di Catania, ma venne data i consegna nel 1970 al Palazzo dei Minoriti dove attualmente si trova.”
“Il quadro – il giovane cicerone continua con l’analisi del dipinto – ambientato in una giornata di sole, probabilmente una domenica o una giornata di festa, in una villa in riva al mare, si divide in due scene: a destra una scena statica, dove si vedono delle donne distese sotto l’ombra dell’albero, un uomo che suona la chitarra, e una donna che suona il mandolino, elementi tipici di una scena popolare siciliana . A questa scena si contrappone la dinamicità dell’altalena mossa da due ragazze: una in piedi in equilibrio sul , il cui vestito mosso dal vento è quello che rende il movimento, l’altra seduta nell’altalena, ha le gambe distese in avanti e la schiena inarcata tipico di chi si dondola. Al centro si trovano due personaggi: una donna con il parasole, che indossa un vestito magenta e un uomo con la paglietta, che indossa un panciotto bianco, entrambi colori che risaltano nel quadro.”
“L’ambientazione è tipicamente mediterranea: il giardino della villa è pieno di palme e alberi di banane e il mare che si vede, si ipotizza possa essere la Playa di Catania, per l’inclinazione del sole”, precisa lo studente. “Il tema dell’altalena al centro del dipinto, è stato ripreso da Sciuti, ma era stato utilizzato già in precedenza da tanti pittori famosi del Settecento e dell’Ottocento, quali Goya, Fragonard e Renoir”, conclude Pierfrancesco, il quale ci tiene a sottolineare che tutti gli studenti del Liceo Cutelli presenti in veste di ciceroni, appartengono alla 1F sezione Aureus, di potenziamento di Storia dell’arte, una sezione speciale nella quale gli studenti studiano Storia dell’arte a partire dal quarto ginnasio, piuttosto che dal primo liceo.
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