Italia: due ragazzi su tre vivono ancora con i loro genitori a causa della crisi economica che non consente di immettersi nel mondo del lavoro.
Dall’ultimo rapporto Eurostudent 2016-2018 si evince che in Italia due ragazzi su tre continuano a vivere con mamma e papà durante il percorso universitario; studiano comodamente a casa, lavorando raramente per potersi pagare gli studi e quasi sempre vengono accuditi dai genitori. In Europa solo uno su tre. La principale causa è da ricercare, in particolare, nella mancanza di lavoro.
Il modo di vivere della maggior parte dei paesi europei è parecchio lontano dal nostro. L’abitudine di vivere in famiglia ritarderebbe il bisogno di guadagnarsi da vivere, ma c’è da dire che molto spesso la causa è proprio la carenza di lavoro. Basti pensare alle differenze tra le politiche italiane e quelle di altri paesi europei, che che spingono i giovani a lasciare la loro casa durante gli studi universitari e a lavorare regolarmente per mantenersi gli studi e la condizione abitativa, determinando comportamenti e modelli di vita completamente differenti.
Bamboccioni, choosy, sfigati. Sono stati definiti così, in questi ultimi anni, i giovani precari che non riescono a raggiungere l’indipendenza economica e sono costretti a vivere a casa con i genitori fino ad un’eta adulta.
Il confine tra l’essere chiamati bamboccioni e sfigati è sottile. Ma è vero che i giovani italiani sono tutti “bamboccioni”? Ma soprattutto quali storie e quali percorsi si nascondono nel passaggio dallo studio al lavoro dei ragazzi? Sicuramente misurare la disoccupazione solo sul tasso di attività è riduttivo se si parla di fascia giovanile: è essenziale tenere conto delle due variabili fondamentali, lo studio e il lavoro, ed analizzarne l’interrelazione.
In Italia, ben 76 ragazzi su 100 non lavorano e solo uno su 10 si rimbocca le maniche e con grande impegno cerca di lavorare durante il proprio percorso di studio. Il resto si dedica soltanto a lavoretti nei ritagli di tempo per recuperare qualche entrata economica.
Al contrario, nei paesi nordici quali Norvegia, Finlandia e Svezia già il 54% dei giovani universitari lavora e i costi dell’istruzione sono a carico dello Stato che finanzia i giovani attraverso una serie di sussidi economici straordinari.
Ovviamente sui dati influiscono oltre ai fattori economici, anche i fattori culturali. “Non riesco a lasciare casa, perché mamma cucina troppo bene!”: questa potrebbe essere una “scusa” del figlio italiano, ma i giovani della Penisola ancora a casa sono il 46,6%, e probabilmente, non tutti sono troppo affezionati alla lasagna della mamma.
A peggiorare maggiormente la situazione italiana sono le affermazioni e le frasi ambigue nei confronti dei giovani da parte dei ministri che si richiudono in una lista di gaffe lunga dieci anni. Vengono da molti considerati offensivi o semplicemente fuori luogo, data il difficile contesto economico giovanile.
E pensare che l’ex viceministro Martone aveva premesso di voler far passare messaggi culturali nuovi, quando nel lontano 2012, ha dichiarato: “Se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato”. Lo stesso Monti, voleva spingere i giovani ad accettare le sfide, quando ha definito il posto fisso “una monotonia”. “Gli italiani sono fermi, come struttura mentale, al posto fisso, nella stessa città e magari accanto a mamma e papà, ma occorre fare un salto culturale”, affermava l’ex ministra dell’Interno, Annamaria Cancellieri; che dipinse i giovani italiani “mammoni“, così come Tommaso Padoa Schioppa li definì “bamboccioni”.
Per non parlare della frase di Giuliano Poletti: “Trovare un lavoro? Meglio giocare a calcetto”. E non dimentichiamo la sua affermazione nei riguardi del tema dei cervelli in fuga: “Se cento mila giovani sono andati via non vuol dire che qui siano rimasti sessanta milioni di “pistola”. Quelli che se ne sono andati è bene che stiano dove sono, il Paese non soffrirà nel non averli più tra i piedi”.
Numeri alquanto disastrosi per l’Italia che perde sempre più giovani studenti. Una perdita che potrebbe costar caro, rischiando di diventare come si sente dire, un vero e proprio Paese per vecchi. Molti giovani infatti sono scoraggiati sebbene siano tecnologici, creativi, interconnessi e iperconnessi ma la loro inattività fa sì che la tendenza a rimanere a casa, oltre i tempi fisiologici sia sempre più in aumento. La crisi quindi non solo cambia il quadro culturale ma crea continue tensioni in quel nucleo fondamentale per la società.
Concludiamo con una frase della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli: “Non smettete di studiare, lo studio vi rende più forti. Inoltre la politica deve puntare su una crescita economica qualitativa per offrire seriamente e credibilmente un lavoro ai giovani”.
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