Storie di battaglie, di lotte contro dei mali non sempre curabili. Racconti di paura e coraggio. Testimonianze sul rapporto con la malattia, tra condivisione del passato, abbattimento dei tabù e aspettative per il futuro. Tutto questo è la medicina narrativa, di cui ci parla la prof.ssa Travagliante.
La dottoressa Pina Travagliante, docente di Storia del Pensiero economico presso il Dipartimento di Scienze umanistiche dell‘Università di Catania, attualmente anche vicepresidente dell‘Associazione ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno di Catania) di Catania, ha parlato ai microfoni di LiveUnict di medicina narrativa, una disciplina che si colloca in una fase intermedia tra la letteratura e la medicina, tra la storia e l‘etica sociale.
“Per Medicina narrativa – spiega la prof.ssa Travagliante – si intende una particolare metodologia di intervento clinico ed assistenziale che si integra con l‘Evidence-Based Medicina, basandosi su una specifica competenza comunicativa. La narrazione del paziente diviene un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, al fine di acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. La medicina narrativa si può definire anche come pratica filosofica che consente la cura e la trasformazione del proprio io”.
Insieme alla dottoressa Francesca Catalano, Pina Travagliante è stata autrice del testo “Vite dopo la tempesta”, che raccoglie storie di donne malate di cancro.
“È un progetto nato all’interno dell‘ANDOS per prestare ascolto alle esigenze dei malati oncologi e per aiutarli a raccontare la loro storia di malattia, in modo da riuscire a metabolizzarla e a
razionalizzarla – ci racconta – durante la condivisione della narrazione, sia essa verbale o scritta, l‘autore o l‘autrice, infatti, dona al gruppo la possibilità di osservare una storia di malattia, ovviamente da punti di vista diversi dal consueto e di commentare gli aspetti simili alla propria, di scatenare emozioni, illuminare i momenti in cui emergono speranze ed aspettative senza dimenticare ciò che li lega: la diversità, intesa come strumento di rivincita personale e di preservazione del proprio essere”.
La medicina narrativa e la scrittura cominciano ad assumere un valore terapeutico, per tale motivo, entrambe possono risultare utili al paziente. L‘esperienza della professoressa ci è utile per capire come sia già stato dimostrato che l’utilizzo di metodologie narrative in contesti oncologici, permetta al paziente e curante di organizzare i pensieri, le esperienze, di poter trasmettere informazioni sul sistema sanitario e di individuare percorsi di risanamento più efficaci.
“La scrittura autobiografica ha un valore altamente terapeutico perché narrare la propria storia di malattia significa mettersi in relazione con se stessi e con gli altri, allenare la capacità di raccontarsi, scoprendo l‘unicità e la bellezza di ogni romanzo esistenziale – continua la docente – ma anche i tratti comuni, quali l‘impatto con le strutture assistenziali, il cosiddetto viaggio di Ulisse da un medico all‘altro, il senso di solitudine e di impotenza, lo sconvolgimento della propria vita e della propria quotidianità scandita, oramai da visite, controlli, terapie, nonché il difficile percorso di reinserimento nell‘ambiente familiare, lavorativo e sociale”.
Fondamentale è riconoscere il riscontro e le risposte da parte del paziente. I risultati sono molteplici e soprattutto positivi, considerando che attraverso le loro storie, gli ammalati diventano protagonisti attivi del loro processo di cura e non semplici cartelle cliniche. “Come sostiene Rita Charon – dichiara la docente – si dovrebbe adoperare una cartella parallela in cui il medico annota non solo i dati clinici ma anche la storia del paziente, in modo da stabilire non solo un rapporto terapeutico ma umano tra il medico e il paziente”.
“Ho trasmesso il mio interesse nei confronti della medicina narrativa ai miei studenti – conclude – suscitando tra di essi, un grande entusiasmo; un entusiasmo che si riversa nella consapevolezza che il paziente-curante possa decidere di raccontare la propria storia, mostrando le proprie cicatrici, emozioni ed incoraggiamenti. È importante intervenire mediante la prevenzione e la condivisione, per far sì che nessuno possa sentirsi mai solo o emarginato”.
“La vita – come scrive Gabriel Garcia Marquez e come ricorda anche la prof.ssa Pina Travagliante – se non è quella che si è vissuta, è quella che si ricorda per raccontarla”.
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