Social e millenials sono due dei trend più comuni dei nostri tempi, vere e proprie etichette del mondo che ci circonda, ormai caratterizzato da un labile confine tra finzione e realtà. Anche la ricerca scientifica, adesso, si interroga sui possibili problemi di dipendenza patologica e quanto essi possano influire nella nostra società, rimanendo al momento senza una chiara via d'uscita.
Avremmo mai pensato che un’intera generazione, la nostra in parte, potesse dare più importanza a ciò che accade dietro uno schermo, nei meandri della rete, in un mondo intangibile, in cui si è più partecipi rispetto a quello in cui viviamo? Eppure, il progresso, la scienza e la tecnologia, in questi ambiti, ci hanno cambiato e condizionato così tanto da non accorgercene; probabilmente, anche in maniera irreversibile.
La ricerca scientifica è tornata ad analizzare la dipendenza da social, stavolta concentrandosi sui millenials: in prima persona, siamo governati da automatismi giornalieri che vanno dal controllo sistematico dello smartphone alla lettura frenetica dei messaggi di WhatsApp, per arrivare a curiosare sulla home di Facebook o tra le foto di Instagram; si tratta di azioni che spesso e volentieri si mescolano ad altre presenti nella nostra routine quotidiana. Le ultime ricerche, nello specifico, parlano di uno stretto legame tra i social e il desiderio o bisogno, a seconda dei casi, di essere perfetti, sentirsi perfetti o, meglio ancora, apparire perfetti, maggiormente agli occhi degli altri che davanti allo specchio. Sarebbe tutto frutto di un’ossessione mentale, legata ai social, che coinvolge sopratutto gli utenti nati tra gli anni ’80 e 00, quella fetta etichettata come “millenials”, per l’appunto.
Gli studi confermano che questa smisurata ambizione a primeggiare in ogni sorta di competizione possibile (a patto che essa avvenga dietro gli schermi), dalla bellezza fisica all’ostentazione delle proprie capacità,è sopratutto legata al bisogno di sentirsi apprezzati, magari tramite like, follow o reactions, dal pubblico che si cela dietro schermi e tastiere o, in misura ancora maggiore, è necessaria per adeguarsi alle tendenze, alle mode che giornalmente si aggiornano e divorano la nostra società. La ricerca si trasforma in tragedia quando i dati raccolti da sondaggi somministrati a studenti, per lo più di licei, college e scuole superiori, mostrano come questa tendenza sia causa, di lì a poco, di gravi disturbi patologici, in grado di causare frequente ansia, depressione, nei casi più gravi anche induzione al suicidio.
Se si parla di dipendenza, la soluzione più semplice sarebbe staccare ogni dispositivo, cancellarsi dai social e comprare un vecchio telefono senza internet, uno di quelli coi tasti magari. Ci hanno già provato, in molti ed il senso di isolamento immediatamente successivo li ha costretti a cambiare metodo. La rete è ormai diventata una compagna inseparabile e i rapporti umani, in molti casi, nascono e si sviluppano dentro di essa; in essa avvengono anche le principali attività, dallo shopping allo studio, senza escludere l’intrattenimento o il divertimento.
E allora, ogni speranza è persa? Gli esperti si rivolgono ai millenials, consigliando di ridurre quantomeno questa ansia da competizione e mirando a fare emergere qualità e tratti più personali che non convenzionali. Magari sarebbe necessario guardare prima ad un recupero dei rapporti e delle relazioni in modo che essi non siano filtrati dalla rete, possibilità -quest’ultima – sempre più utopica.
Nell’immediato, però, guarderei ad un’auspicabile soluzione citando le tre parole magiche in bocca ad uno dei personaggi più coatti del cinema di Carlo Verdone: “parlateve, apriteve, condivideteve!”.
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