Un team di ricercatori del Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II di Napoli e dell’Università di Plymouth del Regno Unito hanno sviluppato un modello neurale computazionale per studiare l’evoluzione della paura nei robot. Il rapporto fra uomini e macchine diventa sempre più complesso.
I robot posso provare paura? Sarà questa forse la prossima domanda utile da porsi di fronte ai più recenti sistemi di intelligenza artificiale. Anche i robot potranno, in un futuro sempre più prossimo, provare sentimenti e, quindi, diventare più intelligenti. Riuscire a instillare, o meglio installare, emozioni in sistemi robotici non serve infatti solo a renderli antropomorfi, ma li rende soprattutto più efficienti. La prima tappa di questo processo tecnologico la si ebbe negli ultimi decenni del Novecento grazie all’introduzione dell’Apprendimento automatico, o machine learning in inglese, grazie al quale i robot più sofisticati sono in grado di apprendere da soli senza un input da parte dei programmatori. La seconda tappa è l’introduzione di “circuiti emozionali” dentro i computer.
Un team di ricercatori del Natural and Artificial Cognition(Nac) Laboratory del Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II di Napoli e del Centre for Robotics and Neural Systems (Crns) dell’Università di Plymouth (UK), ha sviluppato un modello neurale computazionale, ovvero un modello che cerca di riprodurre il sistema neurale umano tramite un processo che fa uso di input e output, in grado di osservare le diverse reazione alla paura in generazioni di popolazioni di robot. Il modello è stato descritto nello studio “Basic emotions and adaptation. A computational and evolutionary model”, in corso di pubblicazione sulla rivista Plos One , firmato da Daniela Pacella , Michela Ponticorvo, Onofrio Gigliotta e Orazio Miglino.
Spiega Orazio Miglino, direttore del Nac e ordinario di Psicologia evolutiva alla Federico II: “Nonostante numerosi modelli abbiano provato a incorporare emozioni di base nel comportamento di robot e agenti intelligenti in pochi hanno approcciato il problema da un punto di vista evolutivo. Questo lavoro rappresenta un modello neurale computazionale ispirato alla biologia umana e animale di come la gestione del rischio può emergere dall’apprendimento attraverso l’evoluzione, e di come ciò influisca in particolare sulla fitness in robot simulati controllati da una rete neurale evoluta con algoritmi genetici. I robot sono evoluti e testati in ambienti con livelli diversi di pericolo e le loro performance sono analizzate e comparate”.
Questo interesse della ricerca è dato dall’idea, sviluppata in biologia, per cui proprio la paura, fra le emozioni fondamentali, è quella che agisce sulle scelte degli animali diventando in alcuni contesti uno strumento indispensabile per la sopravvivenza. L’esempio principale ci è dato dall’osservazione degli animali allo stato brado, in cui sono tenuti a stare in guardia dai predatori soprattutto durante la ricerca di cibo. I predatori sono un pericolo costante che può presentarsi in modi imprevedibili ed è quindi necessaria una risposta immediata da parte dell’organismo, appunto un comportamento istintivo che lo salvaguardi. Inoltre, la paura sembra essere un’emozione che si sviluppa attraverso le diverse generazioni, come tutti i processi evoluzionistici.
Come fanno dunque gli animali a imparare a gestire questo rischio in maniera efficace e a fare le giuste decisioni in situazioni di stress? Grazie al modello neurale diventa ora possibile osservare come evolve la capacità di gestione del rischio attraverso generazioni di popolazioni di robot, proprio come è accaduto in passato nelle specie umane e animali.
“Le emozioni – spiega la ricercatrice del Nac e research fellow all’Università di Plymouth Daniela Pacella – sono fortemente connesse alla memoria, alle decisioni, alla motivazione, alla sopravvivenza. Se vogliamo che i nostri cervelli artificiali diventino sempre più umani, integrare i circuiti delle emozioni diventa non solo fondamentale ma imprescindibile”.
I risultati della ricerca aiuteranno l’uomo nella gestione di situazioni improvvise di pericolo o ansiogene ma anche più banalmente nel prendere delle decisioni in situazioni quotidiane di incertezza, come quando guidiamo, quando attraversiamo la strada, quando scegliamo un percorso o abbiamo necessità di acquistare un articolo.
Se da un lato dunque sono evidenti i progressi e i miglioramenti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, dall’altro si aprono nuovi scenari e possibili interrogativi etici oltre che tecnologici. Uno per tutti: quanto un progresso di questo tipo porta i robot ad essere sempre più autonomi dall’uomo e quindi ingovernabili?
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