L’Università del Piemonte Orientale potrebbe accogliere almeno 140 nuovi studenti l’anno, ma il Ministero ne prevede solo 95.
Si sa ormai da qualche tempo: in Italia mancano i medici e gli specialisti da inserire nelle strutture sanitarie. Una situazione a dir poco paradossale, se si considera specialmente il numero altissimo di ragazzi che ogni anno in tutta Italia tenta il test d’ammissione alle facoltà mediche, sebbene i posti a disposizione non bastino a soddisfare neanche la metà delle richieste. Ogni anno, infatti, le aspiranti matricole sono sei volte il numero di posti disponibili e, così, mentre il numero di dottori cala sempre di più, le possibilità di intraprendere questo percorso di studio si fanno sempre più ardue.
Eppure le risorse necessarie all’incremento dei posti a disposizione sembrerebbero esserci. Il professor Marco Krengli, presidente della Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale, afferma che docenti e aule bastano ad accogliere almeno 140 studenti per ciascun anno accademico, “eppure la nostra quota è rimasta bloccata a 95 iscritti italiani più cinque stranieri” ha aggiunto. La situazione sarebbe la stessa da anni ormai, considerato che l’ultimo adeguamento della normativa risale al 2102, quando i posti passarono da 75 a 95.
“Abbiamo aule disponibili, docenti e la possibilità di svolgere tirocini qualificati”, continua Krengli, “il nostro punto di riferimento è il Maggiore di Novara ma abbiamo stipulato convenzioni anche con l’ospedale di Vercelli e poi con l’Asl e l’Ordine dei medici per inserire gli studenti del quinto e sesto anno nei distretti sanitari e a fianco dei medici di base negli ambulatori, luoghi importanti per formare medici capaci”.
Ma il problema si estende anche alle scuole di specializzazione, le quali non garantiscono posti sufficienti a tutti i neodottori. Se all’Università del Piemonte Orientale sono diciotto le differenti branchie di specializzazione offerte ai neolaureati, è altrettanto vero che i posti a disposizione si aggirano solo intorno agli 80. Questo fa sì che molti laureati debbano attendere e perdere tempo prezioso prima che possano proseguire gli studi e specializzarsi nel settore che prediligono. “Mentre tentano e ritentano il concorso”, conclude, quindi, il professor Krengli, “i neo dottori svolgono lavori precari. In altre parole: sono costretti a perdere tempo”.