Una recente ricerca della Confindustria di Bergamo evidenzia quali sono le maggiori carenze lamentate dalle imprese. La scuola, sia di primo grado che quella di secondo grado, non riesce a coltivare le meta-competenze richieste dalle aziende.
Le “meta-competenze” sono le qualità capaci di attivare conoscenze e abilità più specifiche per affrontare problemi complessi incentivando la flessibilità di pensiero e la curiosità ad ampio spettro.
Oggi queste capacità, lo conferma una ricerca fatta dalla Confindustria di Bergamo (la seconda provincia industriale d’Europa, dopo Brescia), in Italia sono carenti per usare un eufemismo. Le lacune più gravi riguardano la capacità logica, l’attitudine alla leadership e la creatività.
Ma come si ottengono queste meta-competenze? Molti le maturano in modo autonomo, ma non si può scommettere tutto sulla spontaneità. Le meta-competenze possono e devono essere coltivate, tramite approcci e pratiche educative già ben avviate in altri Paesi: una didattica che non segue pedissequamente il programma ministeriale (cosa che avviene invece in nel “Bel Paese”) bensì metodi “euristici” che consolidano abilità trasversali e le più volte menzionate meta-competenze.
L’anello debole è la scuola media. Poi la divisione fra licei, istituti tecnici e professionali con la differenziazione per materie determina una concentrazione eccessiva sui contenuti a scapito delle abilità (con svalutazione tra l’altro dei saperi tecnici a monte dato che solo il 7% degli studenti frequenta scienze applicate). Infine, diplomati e “maturi”, a mancare sono il sostegno e l’orientamento: il percorso universitario è scelto in base ad interessi personali, prevalentemente derivanti dalle influenze di casa e famiglia. Le prospettive occupazionali e di carriera non sono infatti tra le priorità dei giovani.
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