“Gente che schiamazza e che si dà alla pazza danza e fiumi di buon vino che rinfrescano le idee, il sole dell’estate che riscalda l’atmosfera e questo suono zingaro che per le strade va!”: così canta nella canzone I Re della Città il gruppo Giufà.
I loro tour spaziano dall’Italia al Regno Unito, passando attraverso la Svizzera, la Francia e la Germania. La loro musica è un tripudio di gioia, culture e vivacità in una colorita miscellanea di suoni Balkan, Gypsy e Folk. Parliamo dei Giufà, un gruppo tutto siciliano, nato nella provincia di Siracusa non molti anni fa e che oggi è una delle più promettenti band sullo scenario della Balkan world music europea.
LiveUnict ha intervistato Riccardo Puglisi, bassista del gruppo, nonché uno dei membri fondatori. Riccardo ci ha svelato i vari volti della band e da studente dell’Università di Catania, quale è stato, ha rivolto alcuni buoni consigli direttamente agli universitari.
Com’è nato il vostro gruppo? Come vi siete conosciuti? E qual è il vostro background artistico?
“Eravamo amici di gioventù e abbiamo cominciato a suonare. Il nostro nucleo duro – voce, basso, chitarra, batteria – è nato spontaneamente. I fiati sono arrivati con il tempo. Ci sono state sostituzioni, chi è andato chi è arrivato. Ci sono stati progetti paralleli che non sono andati in porto e poi dal 2008 ci siamo ritrovati a mandare avanti questo gruppo. Il nostro background artistico spazia tantissimo: c’è chi viene dall’hard rock, chi dal punk, chi dal jazz, chi dalla banda. Un bizzarro miscuglio di influenze che formano un mélange particolarmente interessante”.
Perché questo nome? Come vi è venuto in mente?
“Giufà è un personaggio della tradizione siciliana ma si ritrova in diverse culture: in quella Araba, in quella Toscana, in quella Russa, nell’Est Europa e nel Maghreb. È un personaggio meticcio in sé e per sé. È quella figura che, attraverso uno sguardo privo di malizia, riesce a mettere a nudo i vizi della società in cui vive. Ecco, l’identità dei Giufà nasce proprio da questo. Dall’esaltazione del miscuglio e dal mettere in evidenza i difetti della società”.
Dal punto di vista artistico, vi siete sentiti influenzati da qualcosa o da qualcuno in particolare?
“Sicuramente c’è un forte influsso di musica balcanica. Potremmo fare riferimento a Bregović e alle fanfare serbe e rumene. Queste ultime, dal punto di vista artistico musicale, sono riuscite a trasmetterci tanto. Non manca un occhio alla musica occidentale, in particolare al cantautorato ma anche al rock e alla world music europea di matrice occidentale. Quindi la fusione di questi elementi ha dato vita a quello che oggi è il nostro stile. Senza tralasciare l’influenza siciliana della tarantella e dai canti popolari, evidente soprattutto nell’uso di strumenti come i tamburelli, a cui si aggiungono marranzani e mandolini in fase di registrazione”.
Possiamo definirvi un coacervo di folklore, storia, colori e “suoni zingari”. Oltretutto, potete voi stessi vantare di essere una delle più promettenti band della scena Balkan/World europea. Che cosa si prova a portare per l’Europa questo tipo di musica?
“Sì, potremmo definirci un ‘collettivo di suoni’. Portare in giro per l’Europa questo sound è un’esperienza unica, proprio perché si riesce a conciliare un connubio di suoni che va dal rock alla musica Gypsy al folk siciliano. Questo arriva a stupire e a coinvolgere il pubblico di ogni tipo ed età. Talvolta può lasciare anche spiazzati: è difficile inquadrare il genere, è qualcosa che esce al di fuori dei canoni tradizionali e non sai mai cosa succederà durante lo spettacolo. L’accostamento musica balcanica e musica siciliana, è un esperimento che di solito colpisce, non lascia mai indifferente lo spettatore”.
I Giufà hanno toccato paesi caratterizzati da un substrato culturale molto diverso da quello in cui è nato il gruppo. Come vi accoglie il pubblico da quelle parti?
“Devo dire che i paesi del Nord, quelli spesso definiti ‘paesi freddi’, sotto questo punto di vista sono i più caldi. Riescono ad accoglierci sempre con tanto calore e affetto. Hanno un background culturale molto aperto verso la musica, soprattutto se viene da lontano e soprattutto se si tratta di un genere non conosciuto. Lo spettatore svizzero, tedesco o francese è più portato ad ascoltare qualcosa di nuovo, piuttosto che fossilizzarsi solo su quello che già conosce. È molto interessato a farsi una cultura a riguardo, a comprare il tuo disco e soprattutto ad ascoltarlo”.
Chi sono i vostri fans più fedeli?
“Vanno circa dai venti ai quarant’anni. È un pubblico molto variegato, non c’è una nicchia fedele: abbiamo dagli appassionati di musica folk o di gypsy punk al nostro compaesano che si è avvicinato a noi perché ha visto il concerto o perché ha sentito per caso una nostra canzone alla radio”.
Oggi ci parli come portavoce dei Giufà ma vogliamo farti una domanda un po’ più personale. Cosa significa per te far parte di questo gruppo?
“Sono tra i fondatori, ci sono fin dall’inizio. Questo gruppo è stato qualcosa su cui ho investito molto, anche dal punto di vista emotivo ed è stato una grande occasione di crescita, sia personale che artistica. Viaggiando, andando a confrontarsi con musicisti di paesi diversi, si cresce tanto anche umanamente”.
Sappiamo che sei stato uno studente dell’Università di Catania e sappiamo anche della tua laurea in Storia. I tuoi studi hanno avuto una qualche influenza sul gruppo, sulle copertine, sui testi o altro?
“Le copertine riprendono quasi tutte schizzi e quadri del cantante che ha fatto l’Accademia di Belle Arti. Sì, il riferimento storico sicuramente ha influito parecchio. L’interesse verso la storia, non è solo mio ma anche degli altri membri del gruppo. Lo sfatare i luoghi comuni e i pregiudizi, mettendo a nudo i vizi della società, lo sdrammatizzare sugli stereotipi, in un certo senso questo emerge dallo studio e dalle nostre conversazioni a sfondo storico nate spesso in sala prove”.
Qual è il messaggio che volete lanciare?
“Nella nostra musica non c’è un unico filo conduttore ma non ci sono neanche compartimenti stagni. Racchiude molte tematiche: la gioia, la frugalità, il combattere gli stereotipi, la critica verso la società, la vita zingaresca. È stato spesso evidenziato dalla critica il nostro rifiuto dei cliché che attanagliano tanto il mondo zingaro dell’Est europeo, quanto il Sud Italia”.
Quali sono le vostre prospettive? Qual è il futuro dei Giufà?
“Al momento stiamo lavorando per il lancio del nuovo video tratto dall’album Trinakristan. Stiamo programmando anche il tour estivo che avrà diverse tappe sia Italia che all’estero. Cominciamo a programmare anche il futuro artistico: siamo nella prospettiva di trovate nuove miscele e nuovi stimoli. È questa la cosa fondamentale: non fermarsi mai e cercare di perfezionare sempre la propria ricetta”.
Cosa diresti rivolgendoti direttamente ai nostri lettori?
“Non abbandonate le vostre passioni. Godetevi a pieno gli anni universitari: sono quelli in cui si riesce ad avere un contatto con la cultura a tutto tondo. Vivete questi anni come un full immersion culturale ma date anche ascolto alle vostre passioni”.
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