Interpretare e tradurre, il valore di due dei mestieri più importanti all’interno della nostra società è stato discusso insieme a Paolo Maria Noseda, che da anni lavora in questo settore e la cui voce è nota non solo agli italiani, ma anche al pubblico estero.
Paolo Maria Noseda ha dedicato tutta la sua vita a dar voce agli “altri”, il suo mestiere gli ha infatti permesso di tradurre e di interpretare ciò che gli altri esprimono in una lingua differente. Dietro al suo mestiere, si celano due grandi passioni: la voglia di scoperta e di ricerca continua all’interno del mondo. Sono, sicuramente, questi due elementi che si stringono in forte sinergia quando lavora.
A parlarci di ciò che significa tradurre e interpretare, ma anche del valore che oggi assume questo lavoro, è lo stesso Noseda in un’intervista per LiveUnict.
Oltre ad essere un traduttore è anche un interprete, ciò significa che dà una nuova voce agli “altri”. Quale valore assume, per lei, fare da tramite linguistico ed emotivo?
E’ la principale responsabilità di una persona che fa il mio lavoro, quello di rendersi conto e di assumersi gli oneri che sono implicati nel dover ritrasporre il discorso di un’altra persona in una lingua diversa. E’ quindi una delle mie preoccupazioni costanti quella di essere conscio di essere un veicolo, di avere una responsabilità, di rendere chiaro un discorso in una lingua che non è la lingua materna di colui che parla e, soprattutto, di farlo con etica ed obiettività nella misura in cui questo possa esser fatto con obiettività e con qualità.
La traduzione potrebbe essere definita come un atto di scrittura e ri-scrittura, per lei cosa significa tradurre?
Secondo me un traduttore è anche un autore in una certa misura proprio perché svela a un pubblico un mondo che in generale non è conosciuto. C’è una bellissima lettera di Daniel Pennac, che si trova nel mio libro “La voce degli altri”, che ho voluto inserire al suo interno perché è una lettera che mi aveva scritto in ringraziamento del mio lavoro e del lavoro degli altri colleghi che svolgono la professione di traduttori. E’ una lettera, secondo me, chiara di quello che sono il compito, i doveri, gli oneri e le gioie di fare il mio lavoro. Io mi rifaccio sempre a quella lettera di Daniel, il quale ci paragona a dei creatori, perché alla fine noi ricreiamo un altro mondo, nella misura possibile. Si tratta dello stesso tipo di implicazioni emotive, sentimentali e anche proprio letterarie, nel caso della traduzione letteraria.
C’è un autore straniero, oltre a Pennac, al quale è rimasto particolarmente legato?
Tantissimi. Posso dire tutti gli scrittori con i quali ho lavorato hanno intrattenuto e io stesso ho intrattenuto dei legami profondi con loro. Un’altra delle caratteristiche del mio lavoro è quella di coltivare l’empatia con le persone, credo sia importantissimo, a maggior ragione se svolgono un lavoro creativo come quello che può essere uno scrittore, un cineasta, un pittore e con tutti c’è stato sempre un enorme rispetto e, devo dire, un’enorme ammirazione vicendevole. Io sono reduce, ad esempio, di cinque giorni trascorsi con Carlos Luis Zafón e lui ha richiesto me per l’ennesima volta e ancora una volta per la promozione del suo libro. Potrei anche dire Susan Sontag, David Grossman, Ken Follett, Sophie Kinsella. Sono, davvero, tutte persone che considero come amici molto cari, ma anche Patty Smith, ma anche Schnabel, pittore e un cineasta, perché evidentemente loro capiscono quanto sia importante evidentemente lavorando con l’arte, la parola e le immagini, quanto sia importante saper riproporre il loro pensiero nel modo che corrisponde al loro sentire che per loro è il modo giusto.
Ci sono delle “regole” che applica quando sta per iniziare una nuova traduzione e in che modo affronta ogni suo nuovo lavoro?
Innanzitutto informarmi il più possibile, sia che l’autore sia vivo sia che l’autore non lo sia più. Cerco più informazioni possibili su di lui o su di lei, sul suo mondo, sulla sua arte. Leggo articoli critici, ovviamente leggo e rileggo l’opera e mi accingo sempre con estremo rispetto a un lavoro di questo genere. Sempre estremamente molto rispettoso, anche e soprattutto verso le cose che non capisco inizialmente. Solitamente si ha una reazione di insofferenza quando non capiamo le cose e invece io ho anche molto rispetto di quello.
Calvino, in un suo saggio, supponeva di un futuro in cui le macchine avrebbero sostituito i traduttori. Cosa pensa dell’uso sempre più diffuso dei traduttori automatici, soprattutto da parte delle nuove generazioni?
Penso che, come tutte le tecnologie, siano una cosa da tenere d’occhio. Io non rifiuto mai nulla a priori perché se avessi dovuto rifiutare le cose a priori sarei ancora alla mia vecchia Olivetti 32, che è stata la mia prima macchina da scrivere che ho usato! Bisogna essere ragionevoli anche in quello. YouTube, ad esempio, per me è stata una scoperta fantastica. Su YouTube posso addirittura vedere le persone, capire come si esprimono e non tutto è da buttare. Dipende sempre dal nostro raziocinio, dal nostro libero arbitrio e dalla nostra ragionevolezza perché se uno è sconsiderato e prende come oro colato tutto quello che gli viene propinato allora è negativo tutto, se invece ha un minimo di discernimento riuscirà a capire quali sono le cose positive e quali sono quelle negative. Io, poi, sono un grande cultore della ricerca e più ricerca c’è più risultati ci sono, altrimenti non avremmo il progresso e dei passi avanti.
Quale consiglio si sente di dare ai giovani che vogliono diventare traduttori?
Pensare, pensare, pensare. Pensare tantissimo. Pensare è un esercizio gratuito che non ci fanno ancora pagare. Pensate sempre, pensate tantissimo perché pensare stimola e, sopratutto, evita di fare molti errori.
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