24 agosto, trema la terra tra i comuni di Accumoli (RI) e Arquata del Tronto (AP), poco più avanti il 26 ottobre due potenti repliche si sono registrate con epicentri al confine umbro-marchigiano, tra i comuni di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. Dopo la catastrofe dell’Aquila nel 2009 in centro Italia torna la paura. Ma cosa sta succedendo alla penisola Italiana? E che rischio potrebbe esserci per la nostra Regione?
La Sicilia è da sempre una zona ad alto rischio. La storia ci racconta di un fenomeno sismico già nel 1169, quando un terremoto con epicentro in mare causò circa ventimila morti nella sola Catania e distrusse inoltre le città di Lentini, Modica e Casal Simeto, quest’ultimo mai più ricostruito.
Da allora l’isola non ha praticamente mai smesso di tremare: nel 1542 e nel 1693 si sono registrate due violente scosse nella Val di Noto, la seconda delle quali causò la distruzione di oltre 45 centri abitati con un bilancio di circa sessantamila vittime.
Nel 1823 un altro terremoto colpì la zona di Cefalù causando danni e facendo vittime perfino a Palermo; Per quanto non sarà considerato uno dei terremoti più gravi della regione questo sarà il preludio alla catastrofe di Messina.
Il 28 dicembre del 1908 infatti in corrispondenza dello stretto di Messina un fenomeno sismico associato ad una violenta onda di marea causò ingenti danni alle città di Messina e Reggio Calabria provocando circa ottantamila morti.
Il 15 gennaio del 1968 nell’area compresa tra Trapani e Palermo si verificò l’evento sismico ricordato come “Terremoto del Belice” che causò la totale distruzione dei centri di S.Ninfa, Gibellina, Montevago e Salaparuta spezzando circa 300 vite umane. Dal 1169 ad oggi le cose non sono di molto cambiate, oltre a questi, ricordati come gli eventi più gravi, tanti altri hanno caratterizzato la storia della regione, anche quella più revente.
Per avere un quadro più chiaro della situazione noi di LiveUniCT ci siamo confrontati con il dott. Eugenio Privitera, direttore dell’Osservatorio etneo.
“La questione va fatta risalire alla tettonica delle zolle – ci ha spiegato il dott. Privitera – poiché la crosta terrestre è galleggiante e le zolle su cui sono posati i continenti si muovono, in questo momento stiamo vivendo una fase di collisione tra la zolla africana e quella euroasiatica, questi movimenti portano l’appennino italiano a distendersi di circa mezzo centimetro all’anno”.
Siamo di fronte ad un movimento costante quindi che coinvolgendo l’intero Appennino chiama in gioco quasi tutto il territorio nazionale, ed ad una collisione che coinvolge continenti interi. All’Istituto di Geofisica singoli terremoti sono frequentemente registrati e sono solitamente caratterizzati da rilasci energetici molto modesti, tanto da essere spesso non avvertiti dalla popolazione. Il rilascio di energia sismica è legato a fenomeni di fratturazione fragile che possono interessare zone a varia profondità.
Talvolta il rilascio dell’energia accumulatasi nel sottosuolo può avvenire tramite un terremoto principale chiamato “main shock” preceduto o meno da scosse premonitrici (foreshocks) e da successive scosse minori di assestamento (aftershocks), a questo tipo di fenomenologia sismica sono spesso associati i terremoti più energetici e quelli che causano i maggiori danni.
Diverso è invece per gli “sciami sismici”: successioni di eventi sismici di varia magnitudo, senza un evento principale, distribuiti in scale temporali che vanno da alcune ore fino ad un paio di mesi. Numerose eruzioni vulcaniche etnee sono state precedute da sciami sismici. La rottura delle masse rocciose superficiali può causare infatti la formazione di un campo di fratture attraverso le quali avviene la risalita di magma, con conseguente innesco di un evento eruttivo.
“È importante tenere presente – conclude il sismologo – che l’Italia è tutta considerata zona sismica, per il territorio etneo la questione è più complicata poiché oltre al rischio già citato è possibile il coinvolgimento del magma del vulcano che potrebbe condurre a fenomeni sismici molto localizzati ed in superficie, la vulnerabilità della nostra zona è molto simile a quella della zona recentemente colpita in centro Italia, considerando la presenza del vulcano non è da escludere che i danni possano essere anche maggiori a quelli. Nel nostro caso la legge antisismica per le infrastrutture è ferma al 1982, considerando l’esistenza di numerosissimi edifici precedenti a quella data direi che i danni potrebbero essere numerosi “.
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