Conosciuta come la ragazza dagli occhi verdi, o dai più anche come “la ragazza afghana”, il suo volto allora 12enne, attraverso lo scatto fotografico immortale, ha fatto il giro del mondo divenendo un’icona che però non ha mai trovato pace e risvolti nella sua vita. Secondo le odierne accuse, infatti, avrebbe richiesto nel 2014 una carta d’identità falsa, dichiarando di essere nata in Pakistan e di chiamarsi Sharbat Bibi; tutto questo con un unico fine, ovvero quello che le avrebbe permesso di poter condurre una vita migliore e di abbandonare i campi dei rifugiati afghani. Documenti che però gli agenti dell’Agenzia Federale di Indagini hanno scoperto esser falsi, nonostante lo stesso McCurry parli di errata trascrizione degli stessi.
“Questo volto è parte del patrimonio di immagini con cui siamo cresciuti – racconta Massimo Gramellini – che apparve sul National Geographic e divenne un pò la Monnalisa del nostro secolo. L’abbiamo chiamata la ragazza afgana, la ragazza dagli occhi verdi. Steve McCurry l’aveva scovata in Pakistan in un campo di rifugiati sotto un tendone che fungeva da scuola. Era una bambina di dodici anni in quella famosissima foto. Si chiama Sharbat ed è scappata dall’Afghanistan a sei anni con la nonna e il fratello più piccolo dopo che entrambi i suoi genitori erano morti sotto le bombe degli invasori sovietici. Accettò di posare per McCurry a condizione che non le venisse chiesto di sorridere perché, secondo le regole della sua tribù, una femmina che concede confidenze agli sconosciuti deve essere punita quindi lei rimase seria. Grazie a questo scatto, Sharbat realizzò il sogno di tantissime adolescenti: diventare famosa in tutto il mondo, ma con un piccolo particolare: che lei ignorava di esserlo perché nel suo campo profughi ovviamente non c’erano i media occidentali. Vent’anni dopo il grande fotografo ritorna a Peshawar con un obbiettivo, quello di ritrovare la sua modella più famosa. Non sapeva neanche come si chiamasse ma, facendo vedere la foto, lo portano finalmente in un campo profughi dove la ritrova. La riconosce dagli occhi e dalle labbra. Per tutto il resto purtroppo era passata una vita piuttosto dura. Sono passati altri dodici anni dalla seconda foto. Adesso Sharbat ha superato i quaranta e pochi giorni fa in una bacheca di Peshawar, è apparsa una sua terza immagine. È una foto segnaletica della polizia pakisana che ha denunciato l’ex ragazza afgana per avere falsificato i documenti suoi e dei suoi figli nel tentativo disperato di ottenere finalmemte, dopo quarant’anni, la cittadinanza pakistana che le consentirebbe di avere diritto ad una casa e ad aprire un conto in banca, abbandonando la baracca in cui vive sempre. Ha detto: “Non ho trascorso un solo giorno della mia vita, a parte forse quello del mio matrimonio, in cui mi sia sentita felice e al sicuro”. E qui mi domando sommessamente se qualche istituzione internazionale non sia in grado di offrire a questa icona del nostro tempo, alla Monnalisa del 2000, un rifugio dignitoso ai suoi figli e, se mi permettete, anche per i suoi occhi“.
In realtà lo stesso Steve McCurry, di ritorno dalla sua spedizione pakistana, creò un’associazione che permettesse di garantire assistenza sanitaria ai suoi figli e la possibilità di frequentare una scuola, ma questo non è bastato a dare una dignità internazionale all’icona del nostro secolo.
Proprio in queste settimane è possibile ammirare la foto scattata da Steve McCurry a Sharbat Gula nella Galleria d’Arte Moderna (GAM) a Palermo, grazie alla mostra “Icons” che raccoglie oltre 100 scatti di uno dei più grandi maestri della fotografia; una scelta di fotografie che sintetizzano il suo viaggio nel mondo attraverso la bellezza, i sentimenti e i luoghi che sono stati riprodotti all’interno delle sue immagini.
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