Il mese scorso il parlamento ha eliminato dal ddl Cirinnà l’ipotesi della “Stepchild Adoption”, cioè, semplificando, “l’estensione della potestà genitoriale del coniuge”, nel caso di coppie omosessuali; ciò che esce dalla porta entra dalla finestra e il Tribunale dei Minori di Roma ha approvato una richiesta di adozione speciale portata avanti da un uomo nei confronti del figlio legittimo del marito.
Ciò che rende la notizia particolare è un insieme di convergenze che rendono questa sentenza, attualmente non più impugnabile e quindi costituente giudicato e giurisprudenza, la prima nel suo genere ma, oltretutto, anche una pronta risposta della magistratura ad una carenza del legislatore.
Già altre volte i tribunali dei minori avevano applicato l’art. 44 della L. 184/83, rubricato come “Adozioni in casi particolari”, alle famiglie omogenitoriali con figli naturali o legittimi di una solo delle parti. Si trattava sempre, però, di coppie di donne; un particolare che potrà sembrare di poco conto ma che ci presenta l’innegabile realtà che per una fetta importante dell’opinione pubblica il ruolo della madre è “più indispensabile” rispetto a quello del padre. E’ anche la prima volta, e questo bisogna dirlo, che il pubblico ministero decide di non opporsi alla sentenza del tribunale nei tempi previsti dalla legge, non ricorrendo in Appello e di conseguenza rendendo la stessa definitiva.
Potrebbe sorgere spontanea la domanda sul come sia possibile che un magistrato, nello specifico il giudice Melita Cavallo ma anche altri giudici prima di lei, possa aver compiuto qualcosa che apparentemente non era possibile e per cui tanto si è discusso in parlamento e in società. La L. 184/83 ci dice che è possibile l’adozione particolare di un minore «… b) per il coniuge convivente del genitore del minore, per favorire il proseguimento dell’unità famigliare e garantire, quindi, una crescita armonica del minore; …», sempre che il Tribunale accerti che l’adozione particolare risponde all’interesse del minore. Il giudice ha dichiarato che l’unico interesse perseguito è stato quello del minore e della sua continuità affettiva, che il bambino, di sei anni, riconosce la genitorialità di entrambi i padri ma è al corrente delle sue origini e intrattiene rapporti continui con la madre naturale. Un ambiente, secondo il giudice, quanto più favorevole possibile per l’applicazione dell’adozione speciale.
Il bambino è figlio di una “gravidanza per altri” portata avanti da una donna canadese fecondata dal seme di uno dei due padri. I due professionisti quarantenni, insieme dagli anni universitari, sono legalmente sposati in Canada; particolare, questo, che giustifica l’applicazione dell’articolo 44, riguardante i “coniugi” (nonostante altre sentenze abbiano già interpretato estensivamente tale termine).
La sentenza è sicuramente storica, al di là di come la si possa pensare nel merito, ma è una nuova conferma di come il ruolo di guida e gestore della vita pubblica che il legislatore, nello specifico il Parlamento, dovrebbe avere viene demandato alla magistratura. Nella storia è successo spesso che i magistrati anticipassero quello che governo e parlamento avrebbero poi fatto da lì a qualche anno, ma ciò non giustifica il reiterare di questo atteggiamento alla “Ponzio Pilato”.
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