UNICT – La lettera di una studentessa Erasmus a Parigi: “Non torno in Italia”



Oggi pomeriggio, in occasione del secondo incontro del laboratorio “Conoscere il mondo arabo-islamico”, il rettore Giacomo Pignataro ha espresso la propria solidarietà per quanto è avvenuto a Parigi.

Il pensiero dell’Ateneo ha anche raggiunto gli studenti Erasmus, che al momento si trovano in Francia: nell’Auditorium De Carlo il rettore ha letto la lettera di Alessandra Agrippina Novella, studentessa e collaboratrice di LiveUniCT, che ha raccontato la sua esperienza durante la notte degli attentanti ed ha spiegato di non voler tornare in Italia.

Qualche giorno dopo l’attentato a Charlie Hebdo ho deciso di presentare la mia domanda Eramsus per Parigi. Ho sempre amato questa città e sapere che delle immagini erano state violentate a causa della follia umana è stato atroce. Atroce sì, perché non dovrebbero esistere armi che fermino l’origine della cultura: il disegno. Ho fatto una promessa, al mio arrivo a Parigi avrei dovuto visitare quel luogo. L’ho fatto due settimane fa.

È stato un colpo al cuore. Le immagini che la televisione e i giornali avevano trasmesso scorrevano come un fiume in piena davanti ai miei occhi. Ho tenuto per me quella sensazione, perché chi non ha vissuto quella strage da vicino non poteva capire. A distanza di qualche giorno ho conosciuto un professore di origini siciliane che lavora alla Sorbonne e ho trovato la forza di raccontargli quanto avevo provato. Sono rimasta di ghiaccio quando mi ha detto “Conosco la femme de Luz”. Cosa rispondere a chi ha toccato con mano l’orrore? Ho provato solo a immaginare, non sapendo che a breve avrei vissuto quell’incubo.

Ero a casa venerdì e posso dire che lo studio mi ha salvata. Alcuni amici mi hanno contattata per chiedermi cosa stesse succedendo a Parigi e inizialmente ho pensato ai soliti allarmismi che i media diffondono. Ho acceso la televisione e da quel momento ricordo solo 5 ore trascorse a guardare un servizio che non finiva più. Ogni minuto scandiva una vita in meno e ogni rumore era una il segno dell’ennesima tragedia. Il telefono è impazzito. Centinaia di messaggi in cui mi chiedevano dove fossi, ma il pensiero era rivolto solo ai miei amici che quella sera avevano deciso di uscire. Era il caos.

Ho trascorso tre giorni in silenzio, mentre fuori si respirava aria di guerra. Guardavo i libri, ma per la prima volta non riuscivo a leggere. Per me c’era solo il vuoto. Mi sono sentita inutile, cercavano medici, infermieri e studenti di Medicina. E io? Non sono in grado di fare una semplice medicazione. Un mio amico mi ha detto di scrivere, perché un foglio bianco e una penna mi avrebbero aiutata. L’ho fatto. Ho aperto la mia Moleskine di Parigi e, accanto alle pagine che avevano la traccia del mio sogno realizzato, ho versato tutte le mie lacrime e l’orrore che provavo per tutte quelle vite ingiustamente volate via. Chiudere gli occhi e addormentarsi significava temere, temere che un’altra vita al mattino non ci fosse più stata. Il pensiero è andato alla mia famiglia e ai miei amici, speravo solo che sapendomi a casa si sentissero più tranquilli. Non è stato facile, non è stato facile nemmeno far capire perché io non voglio rientrare in Italia in questo momento.

Allora lo dico anche a voi. Non torno in Italia quando sono stati uccisi dei miei coetanei senza motivo. Non torno in Italia quando le lacrime rigano il volto per ore. Non torno in Italia quando fuori regna il silenzio a causa degli spari nella notte. Parigi è casa, Parigi è famiglia. Non so cosa succederà nei prossimi giorni e cosa nei prossimi mesi. Ma io, e con me gli altri studenti, oggi sono a Parigi per un motivo in più: realizzare il sogno di chi non può più farlo. Per questo ho accolto l’iniziativa  #JeDonnePourParis e ho donato il mio sangue. Per questo renderò omaggio a tutti i ragazzi che oggi non ci sono più.

 

Sognavo le luci di Parigi durante la notte, sognavo la Senna. Adesso è macchiata di rosso. Ancora una notte conoscerà lacrime e candele che sfuggono al vento autunnale. Non è fragilità. È amore. Non è fragilità. È speranza.                                                                                                 

La Ville Lumière riavrà la sua bellezza e noi la potremo abbracciare presto, come solo questa città merita.

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