Una settimana fa cercavo rue Richard-Lenoir per mantenere la mia promessa. Qualche giorno fa parlavo delle fitte al cuore che ho provato vedendo i luoghi di Charlie Hebdo, non immaginavo di vivere quel dolore da vicino.
Ieri Parigi è ritornata a piangere e il suo dolore è la pugnalata più forte che possa colpire.
Nelle ultime ore il terrorismo è tornato a seminare terrore nella capitale francese. A distanza di undici mesi dall’attacco alla sede di Charlie Habdo la rue Richard-Lenoir è stata colpita ancora una volta. “Attaquer en série à Paris” si legge nell’edizione speciale del telegiornale e l’elenco delle vittime del X e XI arrondisement non si arresta. Si parla di centinaia di morti al Bataclan, da aggiungere ai 40 delle sparatorie che si sono svolte simultaneamente. Ne sono state contate sette a cui si aggiungono i kamikaze in azione allo Stade de France durante la partita Francia-Germania.
Le immagini delle evacuazioni e dei soccorsi sono terribili, il presidente F. Hollande ha proclamato lo stato d’urgenza, la chiusura delle frontiere e per oggi è previsto il Conseil de Dèfense. Tutti i cittadini sono stati invitati a raggiungere le loro abitazioni e a non uscire da casa, tutte le attività didattiche sono state sospese, ma nel volto di chi si è trovava per strada aleggiava la parola “paura”.
Paura perché Parigi è scossa, paura perché a Parigi vincono le armi sulla sua bellezza, paura perché Parigi sembra essere in ginocchio.
Tutto il mondo si è stretto intorno alla città e tutti i parigini hanno prestato aiuto a chi si è trovato in stato di bisogno. I tassametri dei tassisti hanno smesso di contare i chilometri e hanno prestato servizio gratuitamente a tutti coloro che dovevano rientrare a casa. Le porte delle case della città sono state aperte per offrire un posto in cui trascorrere la notte a chi aveva paura di spostarsi per raggiungere la propria abitazione, per questo motivo è stato lanciato l’hashtag #porteouverte. Sono tante le persone investite dalla paura e dalle lacrime e molti i ragazzi delle Università italiane che in questo momento si trovano a Parigi con me.
I telefoni erano bloccati, ma le parole che siamo riusciti a scambiare erano piene di tristezza, terrore e orrore. C’è chi ha detto semplicemente: “Ho paura, ma sto bene. Ho un passaggio e sto tornando a casa” e chi mi ha raccontato che nell’ospedale vicino la propria casa risuonavano continuamente le sirene dell’ambulanza. Sono suoni che mai si vorrebbero sentire, sono i suoni che prolungano l’eco di un dolore che da troppo tempo sta colpendo la Francia e il mondo intero.
Parigi è stata colpita, ma a piangere con la capitale francese è il mondo intero.
Je suis français. Il mio cuore piange, ma ha la forza di abbracciare questa città.
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