Da anni si annuncia l’imminente apertura di qualche fantomatico punto vendita Starbucks in Italia, speranza di chi è cresciuto guardando le serie tv anglofone o, più semplicemente, vede in quel iconico bicchiere di carta bianco e verde il simbolo di uno stile a cui le mode del momento si ispirano.
Howard Schultz, fondatore e guida della più grande catena di caffetterie americana al mondo, ha sempre espresso la volontà di aprire dei punti vendita nello stivale; la paura e il timore di non riuscire a intercettare i gusti di un popolo che ha fatto del caffè il suo simbolo e la sua tradizione hanno, però, sempre bloccato i tentativi di aprirsi al nostro mercato.
Pare che le trattative siano state aperte un anno fa e che l’azienda di Seattle abbia scelto come proprio referente del marketing in Italia uno dei manager più proficui e richiesti che il campo attualmente offra: Antonio Percassi, 62enne bergamasco, ex calciatore, proprietario e guru di molti centri commerciali, fautore dell’espansione commerciale di Benetton e del successo italiano di Zara. Sicuramente sulla scelta avrà influito la recente apertura dei punti Victoria’s Secret in Italia, sempre ad opera di Percassi.
Nonostante non se ne trovi nemmeno uno su suolo italiano, Starbucks nasce in Italia quando Schultz, ben trent’anni fa e in occasione di un viaggio nel bel paese, nota la distribuzione capillare dei nostri bar, la versione nostrana delle caffetterie. L’uso del locale non solo per la distribuzione e il consumo di generi alimentari ma anche per l’aggregarsi della comunità, lo sfruttamento del tempo libero e la consultazione di quotidiani lo colpirono e, proprio basandosi su questi concetti, ideò e produsse Starbucks (inizialmente il nome era proprio “Il Giornale”).
Il problema più grande è riuscire a trovare la formula adatta alla clientela italiana, con gusti spesso totalmente opposti a quelli degli Yankee e degli Inglesi. Noi non siamo abituati a miscele piene di latte, panna, caramello e cioccolato, preferendo spesso un semplice espresso o le sue varianti (corto, lungo, macchiato, in bicchiere di vetro etc.). Ciò non significa che un prodotto come quello di Starbucks non possa avere mercato, ma deve riuscire ad offrirsi come integrazione di una cultura già radicata, presentando prodotti che in nessun caso sperino di essere alternativa al caffè mattutino del bar.
Ovviamente l’azienda ha già deciso di puntare sulla tecnologia e la multimedialità, tentando di intercettare la clientela giovane, i nativi digitali e qualche manager più instagram victim.
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