Era il lontano 2011 quando il processo civile italiano intraprese la via della digitalizzazione, divenendo telematico. Eppure l’esperienza degli ultimi anni si è rivelata essere fallimentare, dal momento che il sistema, pur essendo progettato in modo tale da facilitare la raccolta di fascicoli e documenti, non è stato efficacemente dotato degli strumenti necessari per procedere in tal senso. L’innovazione tecnologica prevedeva, infatti, un fascicolo elettronico degno di esser definito tale e un tablet con un sistema intuitivo e facile da utilizzare, collegato alla rete mediante la banda ultralarga.
Ma di fronte alle carenze strutturali e strumentali, la scelta è divenuta quasi obbligata: si ritornerà alla carta, o meglio verrà introdotto un doppio-binario costituito da copia cartacea/copia digitale. Infatti, l’emendamento 19.100 dell’articolo 19, che modifica la legge di conversione del d.l. dello scorso 27 giugno, contiene una parziale riorganizzazione dell’assetto giudiziario italiano: è previsto il rilascio di una copia di cortesia, soggetta a una serie di passaggi tra giudici, avvocati e cancellieri.
L’avvocato Guido Scorza, esperto in materia, parla del provvedimento spiegando le motivazioni su cui si basa: “L’emendamento ha una chiara matrice giudiziaria e affonda le radici in un problema reale, soprattutto per i giudici. Il processo telematico è ormai vecchio, perché le tecnologie sono cambiate: basato sulla Pec, ha trasferito l’onere sulle cancellerie e architettato un sistema di consultazione per nulla intuitivo ed estremamente farraginoso per i magistrati”. Quale sarà il risultato? L’emendamento, finora approvato alla Camera, attribuirà al ministro della Giustizia il compito di dettare “misure organizzative per l’acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematiche nonché per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalità, nonché per la gestione e conservazione delle predette copie cartacee. Con il medesimo decreto sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo”.
Ciò su cui pone l’accento l’avvocato è il passo indietro di fronte alla difficoltà: anziché risolvere il problema si preferisce, ancora una volta, aggirare l’ostacolo e tornare indietro a quelle pile interminabili di scartoffie da cui erano, sono e, in caso di approvazione al Senato, saranno invasi i tribunali civili italiani. “Il fatto sconvolgente – spiega Scorza – è appunto che non si tratta di qualcosa di transitorio o temporaneo, magari di un ulteriore periodo da sfruttare per cambiare finalmente ciò che non funziona e ripensare procedure ormai detestate in tutti i tribunali civili italiani, che sarebbe stato condivisibile. Davanti alla denuncia di ciò che non funziona il primo istinto è tornare indietro”.
Non sono mancati coloro che hanno tentato, con una serie di contro emendamenti, di aggiustare il tiro e rinnovare la procedura, mantenendo ferma la prospettiva della digitalizzazione, considerata preferibile da numerosi esperti informatici. Infatti, nonostante l’argomento trattato sia questione prettamente giudiziaria e nonostante coloro che dovranno fare i conti col “nuovo-vecchio” sistema siano i cultori delle discipline giuridiche, è innegabile che, nell’epoca dell’informatizzazione pressoché totale della nostra vita, bisogna tenere in considerazione anche un altro ambito che inevitabilmente incide sulla materia, quale quello della tecnologia, del digitale e dell’elettronica. Sarebbe opportuno ricercare soluzioni congeniali per permettere di conciliare i settori e per far sì che l’evoluzione contribuisca a migliorare l’organizzazione quotidiana, piuttosto che complicarla, scopo per il quale invece l’emendamento appare avere tutte le carte in regola.
La situazione difficile che l’avvocatura sta attraversando è stata denunciata anche dall’Anai – Associazione Nazionale Avvocati Italiani – che lamenta la difficile consultazione e contraddittorietà delle norme attinenti al processo telematico, causa di caos dovuto alla difettosa informatizzazione dell’apparato giudiziario e alla discordanza di prassi territoriali, il che comporta il moltiplicarsi del numero di notifiche, comunicazioni e depositi da effettuare. In sintesi, è come se ogni tribunale funzionasse autonomamente, come se non esistesse una normativa comune che imponga determinate procedure da seguire uniformemente su tutto il territorio nazionale: alcuni uffici non accettano più copie cartacee, mentre altri richiedono solo ed esclusivamente i tradizionali mezzi di notificazione. E lo stesso vale nel vivo della fase processuale, davanti ai magistrati, alcuni dei quali preferiscono il deposito in via telematica anche degli atti introduttivi della lite, a differenza di altri.
Insomma, il processo informatizzato e le discordanti prassi hanno reso più complesso l’iter processuale, piuttosto che snellirlo nei suoi canonici adempimenti.
Dallo Spid (il sistema per l’identità digitale) al fascicolo sanitario elettronico alla cittadinanza digitale, tutti argomenti che necessitano di una regolazione interna ad opera delle istituzioni, che però dovrebbero allo stesso tempo individuare la migliore modalità affinché le possibilità offerteci dalla tecnologia mostrino i propri risvolti soltanto in termini di positività, sfuggendo alla confusione che emendamenti come quello in questione rischiano di suscitare.
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