Avviene spesso che un lettore, di solito un giovane, chieda a uno scrittore, in tutta semplicità, perché scrive e perché gli scrittori scrivono. A questa ultima domanda non è facile rispondere: non sempre uno scrittore è consapevole dei motivi che lo inducono a scrivere, non sempre è spinto da un motivo solo, non sempre gli stessi motivi stanno dietro all’inizio ed alla fine della stessa opera. Mi sembra che si possano configurare almeno nove motivazioni, e proverò a descriverle; ma il lettore, sia egli del mestiere o no, non avrà difficoltà a scovarne delle altre. Perché, dunque, si scrive?
Sono tanti i motivi che possono spingerci a scrivere un libro: se ne sente l’impulso o il bisogno, per divertire o divertirsi, per insegnare qualcosa a qualcuno, per migliorare il mondo, per far conoscere le proprie idee, per liberarsi da un’angoscia, per diventare famosi, per diventare ricchi e per abitudine.
Così esordisce Primo Levi, parole toccanti e profonde che uno scrittore deve necessariamente custodire e portare con sé tutte le volte che prende una penna, un notebook, un pc o la qualunque altra cosa e comincia a scrivere.
L’editoria tradizionale nell’era digitale subisce una profonda metamorfosi. Mentre una volta la pubblicazione di un libro era dedicata a un’élite di privilegiati che includevano giornalisti, professori, romanzieri e nomi celebri della critica contemporanea, oggi, grazie alla globalizzazione, con l’abbattimento dei costi di produzione e la sempre più accurata selezione di tecnologie digitali, il confine tra lettore e scrittore inizia a non essere più definito.
Gli scrittori di oggi sono inevitabilmente i lettori di ieri, coloro che in una simbiosi totale con i libri scritti da qualcun altro colgono sfide innovative, si mettono in discussione e si fanno portavoce di nuovi messaggi, pensieri, riflessioni: i loro. Gli scrittori di oggi non sono personaggi celebri. Pubblicare è di per se un traguardo, indipendentemente dai confini e dal successo che possa avere un libro. Il successo del libro dipende oltre che dalla bravura dell’autore da una complicata macchina di promozione che vede una stretta collaborazione tra autore, editore e distributore.
La stessa pubblicazione di per sé diventa più facile grazie all’epoca tecnologica che stiamo vivendo, ai social che permettono di entrare in diretto contatto con le case editrici, sperimentando nuovi canali per farsi conoscere e per far conoscere. Diventa quindi difficile pensare al libro come al semplice cartaceo acquistabile nelle librerie. In questo nuovo scenario, nell’era degli ebook, lo pensi piazzato su Amazon, IBS, lo compri e lo leggi facilmente. Eppure alla radice un libro è sempre un libro, indipendentemente dal vecchio o nuovo che porta con sè, indipendentemente dal formato.
Una delle domande più frequenti che mi viene fatta quando presento il mio libro (Anche i porcospini possono volare, Algra Editore) è “Perché hai scritto un libro?” (Una signora, in una delle ultime presentazioni, mi disse: “Come hai potuto scrivere un libro a 21 anni? Non avevi nient’altro di meglio da fare?”.Sorrido ricordando questo aneddoto perché tra le altre mille cose da fare ho incluso anche la bellezza della scrittura e per me è stato un piacevole passatempo che mi ha dato tanto) e soprattutto “Perché lo hai pubblicato?“. Sono molti, infatti, gli scrittori “ignoti” che tengono un diario custodito gelosamente, che inventano storie, romanzetti senza pensare minimamente alla pubblicazione.
Credo che non si scriva mai esclusivamente per se stessi. Ognuno legge la storia altrui riproponendola nella sua, basandosi sul proprio vissuto, interpretandola a modo suo. Ecco il salto di qualità. Quando ho scritto il mio libro, non pensavo di pubblicarlo. Alla fine, però, ho contattato la casa editrice perché ho deciso di fare un regalo agli altri, di donare una parte di me a chiunque la accogliesse. Chi pubblica si mette in gioco, comincia a sperimentarsi in una divertente gara con se stesso e i propri limiti. Pubblicare significa mettere nelle mani di tutti qualcosa che ti appartiene.
Dico spesso che un conto è scrivere un libro, un altro pubblicarlo. Ogni scrittore deve superare la fase “critica”, quel momento in cui comincia a interrogarsi e a chiedersi se sta facendo la cosa giusta, deve vincere quella timidezza, quella paura di non farcela, di avere un fallimento e deve raccogliere tutto il coraggio che ha.
Non è un libro pubblicato che rende uno scrittore tale. È il successo che riscontra, la fama che accoglie quando ha un numero cospicuo di fans che valutano e stimano il suo lavoro. Senza i suoi lettori uno scrittore non è nessuno. È come una casa vuota, non ha motivo di esistere, viene meno la sua funzione primaria: essere abitata. Il suo libro va abitato, penetrato, vissuto, va oltrepassato con gli occhi, la mente e il cuore. Ecco perché scrivere. Ecco perché pubblicare.