Emendamento 13.38, approvato il 2 luglio 2015 in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio. L’emendamento dell’anno, la “rivoluzione della Pubblica Amministrazione“, goccia che ha scatenato le ire più funeste dei futuri dirigenti e funzionari pubblici.
Ma di cosa si tratta? Semplice. Della nuova legge per cui, da questa data, oltre al voto di laurea, per poter accedere a un incarico nella Pubblica Amministrazione si verrà valutati anche in base all’Ateneo di provenienza.
La polemica nasce immediata e feroce, tanto da lasciare quasi sorpreso il deputato democratico Marco Meloni, autore dell’emendamento che inserirebbe questo nuovo punto del curriculum di ogni potenziale candidato tra i vari fattori da valutare ai fini della vittoria di un concorso pubblico. “La mia originaria proposta prevedeva semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea (che, ad oggi, non è previsto da alcuna norma, ma che è previsto solo nel caso di alcuni bandi, come, per esempio, Bankitalia e università, n.d.r.) quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici“.
Altra intenzione dell’emendamento Meloni è quella di evitare che uno studente, alunno di un’ università seria e “di manica stretta” quanto a voti, sia penalizzato rispetto al suo collega che ha studiato in un ateneo dal “110 e lode facile”.
Negata anche ogni volontà di attenuare il valore legale del titolo di laurea. Il risultato, però, è stato paradossale: se, dicono in molti, il criterio da considerare è quello del “valore” dall’università frequentata, diventa evidente che chi si laurea in un ateneo poco prestigioso non avrà alcuna chance rispetto a chi va a studiare in un ateneo dalla fama indiscussa. Non casualmente, poi, nella classifica delle università migliori, ben 15 sono dislocate al Nord.
E chi non può accedervi? Cosa deve aspettarsi?
“Ci sono università di serie A e di serie B, è ridicolo negarlo” affermava lo scorso 18 febbraio il premier Matteo Renzi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico al Politecnico di Torino. “Ci sono delle università che riescono a competere nel mondo e università validissime, che pero hanno un’altra funzione, un’altra missione“.
Un po’ come il campionato di calcio, insomma.
Ma quali sono queste università di serie A e di serie B? E quali sono le caratteristiche che le rendono tali?
A fare chiarezza su questi aspetti ci pensa ROARS (Return On Academic ReSearch), blog nato nel 2013 che vuole contribuire allo sviluppo di una discussione meditata e competente sui problemi dell’università e della ricerca, rendendo noti i risultati delle ricerche più prestigiose.
L’ANVUR (Agenzia Nazionale Valutazione del sistema Universitario e di Ricerca), nella sua valutazione VQR 2004-2010, una ricerca volta a valutare i risultati della ricerca scientifica nel periodo 2004-2010 dalle università statali e non ha pubblicato la classifica degli “Atenei al Top d’Italia”.
Ma sarà davvero così? Saranno realmente solo questi venti atenei italiani a poter essere degni d’onore oppure no? Pare proprio di no.
Diverse ricerche e classifiche ANVUR mostrano come per ciascuna università vi siano dipartimenti, campi di ricerca e simili che possono vantare l’eccellenza nel loro settore, anche a livello di competizione nazionale, e altri che, invece, sono decisamente più carenti. Per cui, se si vogliono penalizzare le università in quanto tali -classificandole come di serie A e B- si andrebbero a penalizzare i settori di eccellenza in università facenti parti della cosiddetta serie B e, viceversa, verrebbero premiati settori pessimi di università di serie A.
Ma diamo uno sguardo a livello internazionale. La situazione, qui, è quasi disastrosa: nelle principali classifiche internazionali gli atenei italiani stentano a entrare, a volte, nei primi 100 posti.
Nessun ateneo italiano tra i primi 150 neanche secondo le stime Arwn (Academic Ranking of World Universities), una classifica delle 500 migliori università del mondo.
Sei università nostrane si posizionano tra le 151esima e la 200esima posizione dello Shangai Ranking: Bologna, Milano, Padova, Pisa, La Sapienza di Roma, Torino. Tra la 201esima e la 300esima posizione si collocano il Politecnico di Milano e l’Università di Firenze. Tra la 301esima e la 400esima posizione la Normale di Pisa, Milano Bicocca, Federico II di Napoli, Roma Tor Vergata. In coda, tra la 401esima e la 500esima posizione, la Cattolica di Milano, gli atenei di Cagliari, Ferrara, Genova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia e Trieste.
Il Belpaese vanta ottime valutazioni in matematica, con ben 13 atenei in top 200, grazie a Milano, Pisa e La Sapienza in top 100, al Politecnico di Milano, la Normale di Pisa e gli atenei di Padova, Pavia e Parma. E ancora Catania, Genova, Bicocca, Federico II, Pavia, Tor Vergata, Trieste (151esima-200esima posizione).
Milano e Torino le migliori per le facoltà di Medicina e Chirurgia.
Per quanto riguarda la situazione su scala nazionale è un trionfo per le università di Trento e Verona, subito seguite dal Politecnico di Milano e dall’univerità Statale di Bologna. Tra gli atenei non statali, invece, spiccano il San Raffaele di Milano, la Bocconi, la LUISS di Roma e il Campus Biomedico di Roma.
Tra le siciliane, al primo posto Messina (38esima su scala nazionale), poi Catania (51esima) e Palermo (60esima, penultima della classifica). Tra gli atenei non statali, Enna si classifica 15esima, penultima su scala nazionale.
Per quanto riguarda il caso catanese, non è certo presente nella classifica Arwn, se non per la fisica, ma considerando gli indici di ranking più importanti, vediamo che il capoluogo etneo si piazza in “posizione utile” (cioè in generale le prime 500 o addirittura 400) in ben 4 racking.
Analizzando, invece, il caso milanese, è facile notare come sia la città con un più elevato numero di università presenti nelle classifiche più importanti grazie alla Bocconi che, oltre a essersi piazzata settima nella classifica mondiale e terza in Europa, risulta essere terza nella classifica “Business e management“, dopo Mit e Oxford; eccelle in Economia (17esima posizione) e in Scienze delle Finanze (28esima posizione), mentre il Politecnico si piazza al decimo posto nella sezione design ed e tra i top 20 mondiali per Ingegneria Civile e Architettura (occupando rispettivamente 13esima e 14esima posizione). Può, quindi, essere considerata fiore all’occhiello dell’Italia che conta… e che sa giocare coi numeri!