La riforma sulla scuola proposta dal governo Renzi, volta soprattutto a sistemare i precari, fa sorgere un interrogativo inquietante: la preparazione conseguita dagli studenti è idonea? Gli studenti sono competitivi sul mercato del lavoro tanto quanto i loro colleghi stranieri?
Questa nuova prospettiva è suggerita da un docente universitario, il quale trovandosi di fronte agli esami neodiplomati e non, ha semplicemente colto gli handicap derivanti da un insufficiente preparazione scolastica. Gli studenti sono a volte vittime delle manie dei loro professori del liceo con spropositati salti di programma. Di anno in anno, determinate e rigorose materie come latino, matematica e grammatica non possono essere studiate “all’acqua di rosa” e tra l’altro i grandi vuoti si sedimentano dalle elementari per poi attecchirsi alla scuola superiore, manifestandosi anche all’università.
La sostanza della riforma è di tipo burocratico-assistenziale. Burocratico perché la scuola si prepara a mettere in piedi un apparato di “autovalutazione” che assorbirá una quota sempre maggiore delle energie degli insegnanti, a tutto danno della loro funzione primaria, che è trasmettere conoscenze e non certo compilare griglie. Assistenziale perché il cuore della riforma è quello di assumere precari, non certo “utile” per l’innalzamento della qualità dell’istruzione. L’Europa è da troppi anni che ci segnala che in Italia il numero degli insegnanti non è commisurato alle risorse impiegate, specie nel meridione.
Ancora non si sa quale sarà il testo finale della riforma ma le fazioni contrapposte sono legate dal risentimento per ciò che si prefigurerá. Da un lato i sindacati denunciano che in una situazione di “spending review” si trovano le risorse per assumere 100 mila precari, dunque perché non aumentare il numero di assunzioni, in linea con la politica del Paese? Dall’altro lato i liberali ci trovano poca meritocrazia.
Il problema della scuola deve essere, invece, letto attraverso risultati che produce e la preparazione delle matricole. Quest’ultime non hanno mai un livello di preparazione corrispondente al titolo di studio che esibiscono, tra le giustificazioni più comuni con cui si motivano le carenze c’è:”Non ho le basi”.
La maggior parte degli studenti non è in grado di scrivere correttamente in italiano, il lessico è poverissimo e l’organizzazione primitiva quasi assente, nelle tesi di laurea si corregge più la lingua che il contenuto. Spesso le università sono costrette a organizzare corsi di allineamento per le matricole, quasi tutto quello che la scuola insegna viene archiviato nel giro di 2 anni tanto tutto ormai si trova a portata di click su internet. Gli studenti che, dopo una magistrale, sono in grado di scrivere qualcosa di adeguato sono una minoranza e la maggioranza riesce ad argomentare in un testo scritto solo dopo aver concluso il dottorato.
È triste vedere tanti ragazzi che addirittura non riescono a completare l’università, o non provano neppure ad iniziarla, solo perché la scuola non li ha preparati abbastanza, un malinteso rischia di rendere irreversibili questi effetti. L’ insegnante per includere tutti abbassa gli standards, ma è proprio questa indulgenza che depriva i ragazzi nel senso che li priva di possibilità di vita cui avrebbero diritto. Gli inclusi di oggi sono gli esclusi di domani, purtroppo le proteste di questi giorni mostrano che nel mondo della scuola sono altre le cose su cui ci si appassiona e ci si divide: la stabilizzazione dei precari, le carriere degli insegnanti, i finanziamenti alle scuole private, il diritto allo studio. Sembra quasi vano sottolineare altre, di priorità.
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