Eccellenze Made In Unict: il giovane poeta Gianluca Furnari finalista al premio Rimini

Per la rubrica #EccellenzeMadeInUnict questa settimana Live UniCT intervisterà lo studente del corso di laurea in Filologia Classica Gianluca Furnari.

Classe ’93, nato a Catania e laureato in Lettere Classiche col massimo dei voti. Questi alcuni degli elementi principali dell’identikit di questo giovane poeta, che ha recentemente preso parte ad un concorso letterario di un certo spessore: il Premio Rimini per la poesia giovane. Giunto alla seconda edizione ed esteso all’intero territorio nazionale, il Premio Rimini ha visto quest’anno la partecipazione di più di 130 ragazzi, i quali hanno inviato i propri manoscritti poi sottoposti al vaglio di una giuria estremamente qualificata. Dopo una rigida selezione, Gianluca Furnari è riuscito ad emergere con la sua raccolta intitolata “Vangelo Elementare”, arrivando così tra i sette finalisti della competizione. L’11 aprile ha avuto luogo la premiazione con la proclamazione della vincitrice Martina Abbondanza e, nello stesso giorno, il nostro intervistato ha ricevuto un’importante notizia: la possibilità, offerta dalle case editrici “Walter Raffaelli” e “La Vita Felice”, di pubblicare la sua opera.

1) Parliamo innanzitutto della tua passione. Quando hai iniziato a scrivere poesie? E da dove trai l’ispirazione?

«Ricordare la stagione in cui la poesia è venuta a cercarmi è impossibile, almeno quanto ricordare il giorno della mia nascita. A me piace credere che sia venuta presto: forse era lì presente quando ho vergato sul mio primo quaderno le lettere del nostro alfabeto o quando ho sillabato con stupore le mie prime parole nella nostra lingua. Di un’esperienza del genere parla il grande Seamus Heaney nella poesia Alphabets, ricordando i giorni in cui aveva appreso a scrivere in gaelico: “Erano alberi le lettere di quell’alfabeto. / Le maiuscole erano frutteti in pieno fiore, / Le righe di scrittura come rotoli di rovi nei fossi”. C’è qualcosa di pietoso, di monacale nel gesto di un bambino che comincia a scrivere: la dedizione che profonde in quest’impresa difficile e necessaria somiglia da vicino alla fede nella poesia. Penso che anche per me sia iniziato tutto da quel gesto, dalla scoperta che esistono relazioni arcane tra la cosa e il segno, da una certa insofferenza lessicale, dal desiderio di fare e disfare il mondo con le parole. Naturalmente la scrittura in versi è venuta più tardi, intorno ai quindici anni, mentre la fase precedente, durante la quale mi ero dedicato alla stesura di racconti, non è stata altro che una probatio pennae. Al liceo ho scoperto i Canti di Castelvecchio, e all’improvviso è stato come irrompere con  il mio corpo fisico nella materia viva della lingua. Ho cominciato allora a raccogliere gli stimoli che mi venivano dalla mia famiglia, in particolare da mio padre: ricordo lunghi pomeriggi trascorsi a letto, a leggere in sua compagnia i Canti di Leopardi; non ricordo più – invece – quanto fossero ridicoli e anacronistici i miei primi versi, tanto più che avevo iniziato come un versificatore qualunque di un secolo fa, cioè imitando Pascoli, mandando a memoria le sue poesie e rimodulandole con l’originalità di un ripetitore meccanico. Il mio faticoso svezzamento è cominciato quando mi sono lasciato Pascoli alle spalle per leggere prima Montale e poi i contemporanei, fino al costituirsi del mio attuale olimpo privato (Bacchini, Conte, Mussapi in primis). Venendo alla cosiddetta «ispirazione», non sono certo che ci sia un luogo – reale o immaginario – al quale i poeti attingono: credo che dietro ogni componimento si accampi un “perché”, o al massimo un “come”, ma non un “dove” che abbia tratti riconoscibili. L’unico “porto sepolto”, l’unico “dove” che non mi riesca difficile immaginare, è il linguaggio stesso: i versi propulsivi di una poesia si impongono di frequente alla coscienza come unità linguistiche distinte; altre volte – più banalmente – come accensioni visive, catturate nell’instancabile caccia di ogni giorno e rese più nitide dalle letture. L’ “ispirazione” è come frantumata in una serie di atti minimi, che culminano nel nervosismo della composizione».

 2) Per ciò che riguarda la tua raccolta: quali sono i temi principalmente trattati? E perché hai deciso di trattare proprio quest’ultimi?

«La raccolta che ho presentato al Premio Rimini è il testamento della mia prima giovinezza: vi ho trasfuso con piena sincerità le insicurezze e le solitudini che hanno accompagnato la mia crescita fino a una ritrovata fiducia nella vita, alla scoperta in me stesso di una pluralità di voci, bianche e ostinate, che premevano per essere espresse. Vangelo elementare è scritto interamente in prima persona plurale e si può leggere come un romanzo lirico: protagonista è un coro che si muove davanti e dietro il paesaggio, in un altrove in cui la vita è un bene conteso, minacciato dal presagio del buio e della “morte per acqua”. Volendo schematizzare, i temi portanti della raccolta – in cui Marco Bini ha fondatamente riconosciuto un afflato orfico – sono proprio questi: da un lato il corpo e la malattia, la perdita dei punti di riferimento, la tentazione del silenzio; dall’altro l’esuberanza di salute, la grazia che discende dal canto».

 3) La scelta del titolo Vangelo elementare da dove deriva?

«Non sempre chi scrive gode di una prospettiva privilegiata per giudicare le proprie scelte, ma a me piace leggere il titolo nella sua accezione più letterale. “Vangelo” è la promessa di salvezza affidata al canto e – insieme – la silloge stessa, nella somma delle sue parabole: è il termine con cui designiamo il racconto della vita di Cristo, quello che Raboni considerava il più “suggestivo” e “ricco di senso” della storia dell’umanità. A fronte di una poesia che ancora oggi è tentata di negare valore a sé stessa, la scelta di una parola “ricca di senso” mi sembrava un atto di insurrezione spirituale. “Elementare” è la sostanza di quella promessa di salvezza, radicata nel gioco delle forze terrestri al quale – probabilmente – tutti i discorsi sull’uomo si possono riportare. Ma uno solo è il dato di fatto che trascende ogni interpretazione: “vangelo elementare” è un settenario, e questa è forse la ragione per cui l’ho scelto».

4) Parliamo adesso della tua partecipazione al Premio Rimini. Cosa hai provato quando hai scoperto di essere arrivato in finale? E cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Confesso che il Premio Rimini è stato per me un sogno ricorrente. Ero affascinato – e lo sono ancora – dal meccanismo della selezione, demandata in prima istanza alla giuria junior, di cui fanno parte giovani poeti che già conoscevo e ammiravo (Bini, Borio, Carabba, Cescon, Di Dio, Donzelli, Fantuzzi, Gallerani, Grutt, Leardini) e che mi ha voluto tra i finalisti; quindi alla giuria senior, composta anch’essa da poeti e personalità eminenti della cultura (Bertoni, Copioli, Galaverni, Pasquinelli, Riccardi, Villalta); e infine alla giuria popolare studentesca, di fronte alla quale abbiamo letto i nostri testi lo scorso sabato (il Premio avvicina in questo modo centinaia di ragazzi alla poesia). L’accesso alla finale mi ha colto alla sprovvista ed è stato solo l’inizio di un periodo denso di incontri e di scambi. Nei due giorni trascorsi a Rimini ho condiviso il mio entusiasmo con gli altri sei finalisti (Martina, Marco, Alberto, Maddalena, Michela, Federica), instaurando con loro un rapporto di solidarietà che farò di tutto per mantenere vivo; ho potuto apprezzare l’energia inesauribile e contagiosa di Isabella Leardini, la poetessa che ha ideato il Premio, e degli altri membri delle due giurie, e la passione di tutti i giovani poeti che hanno partecipato alla cena del Premio; ho respirato, da ultimo, la vivacità dei numerosissimi studenti che l’11 aprile hanno affollato la Sala Manzoni per ascoltare le nostre letture. Si è trattato di un’immersione completa nella poesia, di cui la città di Rimini, celebrata da Sergio Zavoli – nella sua lectio magistralis – in una lingua allusiva eppure puntualissima, non è stata soltanto la cornice».

5) Quali sono infine i tuoi progetti per il futuro?

«Nell’immediato, parallelamente agli studi universitari, mi dedicherò con calma alla revisione della mia raccolta in vista della pubblicazione; l’impulso da cui è nato Vangelo elementare non è ancora esaurito e sento di doverlo assecondare fino in fondo. Nel frattempo continuerò a inseguire me stesso in nuove letture, affrontando le imprevedibili conseguenze spirituali che ciascuna di esse potrebbe comportare».

 Chi fosse interessato alla lettura della raccolta Vangelo elementare può andare sulla pagina .

 

Paola Rachele Perno

Studentessa di Linguistica, telefilm dipendente e divoratrice di libri. L'uso dell'iperbole mi mantiene giovane. https://twitter.com/PaolaPerno

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Paola Rachele Perno

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