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Zuma: l’importanza di essere suono. Intervista

Zuma nasce per caso, come spesso accade. Incontri fortuiti, stima dell’altro, bisogni comuni di espressione. La sete di ”essere suono” attraverso i suoni. La sala prove come tempio assoluto, lavorare con lentezza. Tre uomini e il loro silenzio, forse timidi, forse ammaliati da quell’idea di suono. Sette brani che nascono immediatamente, dopo sole 3 ore. Come fiori nel deserto. Non le cercavamo. Tre uomini diventano cinque. Diversi e identici. Affinità umane e chimica assoluta. Meno è più, lo scopriamo svuotando i brani fino a portarli al nucleo di ciò che vogliono comunicare. Ecco la nostra privatissima orchestra della polvere.” La prima formazione di Zuma, composta da Dino Gigliuto (chitarra e voce), Giuseppe Lombardo (chitarra e voce) e Mauro Felice (batteria), si allarga poco dopo grazie all’ingresso del giovane Gabriele Timpanaro (contrabbasso e basso elettrico) e del polistrumentista Marcello Caudullo (piano, tastiera, chitarra, basso, percussioni). In seguito, la paternità di Mauro Felice e la sua decisione di ridurre gli impegni esterni alla famiglia, porta gli Zuma a modificare la storica formazione, trovando in Ezio Mongiovì (batteria e armonica) un ottimo compagno di viaggio. Gli Zuma sono finalmente pronti per far uscire il loro primo album “Less is More” per l’etichetta Viceversa Records. Nove brani intimi, limpidi e rabbiosi. La storia di LESS IS MORE è parallela a quella degli Zuma stessi; anzi, probabilmente la band decide si consolida proprio per dare vita a questo disco. Le composizioni di Less is more, nascono in sala prova, semplici appunti da completare in fase di registrazione ed ascolto. La lunga gestazione dell’album durata due anni, non dipende dalla ricerca di chissà quale perfezione, le sezioni di registrazione, i missaggi, gli ascolti sono stati piacevolmente dilatati nel tempo, messi quasi a decantare in attesa del momento giusto per essere assaporati. Cristina Chinaski ha intervistato per LiveUniCt Giuseppe Lombardo che si è fatto portavoce del gruppo.

La storia di LESS IS MORE è parallela a quella degli Zuma stessi; anzi, probabilmente la band decide, si consolida proprio per dare vita a questo disco.” Così si legge sulla scheda dell’album. Un gruppo ed un disco che vanno di pari passo, giusto?
Il nostro incontro in sala è coinciso con la scintilla creativa che è stata origine dei primi brani e quindi tema portante per tutte le composizioni successive. Senz’altro i brani che abbiamo incluso nel disco e che sono nati sin dalla prima prova sono parte importante dell’identità con cui il progetto Zuma si presenta al pubblico. Quello che però intendiamo dire è che non siamo nati come una live band, il nostro obiettivo è stato il disco, inteso non come supporto fisico e tantomeno come produzione, ma come raccolta di composizioni. Volevamo che la musica che stavamo suonando venisse incisa, trovasse una forma definitiva. Dato che tutto il nucleo iniziale della band fino ad allora aveva realizzato dei dischi che erano delle versioni in studio dei live, – senza sovra-incisioni, con le stesse parti strumentali e canore – stavolta pensavamo alle composizioni senza avere il concerto come riferimento.

Less Is More” titolo del vostro album, è una frase di Mies Van Der Rohe architetto e designer tedesco. Lui cercò di creare spazi neutri, attraverso un’architettura basata su un’onestà materiale e integrità strutturale. Un’architettura pelle e ossa. Il vostro lavoro si concentra sul suono, e aspirate ad una vita priva di tutte quelle cose inutili che la logorano senza aggiungerle valore, ma cos’è per voi l’inutile?
Questa è una domanda difficile con cui ci confrontiamo continuamente. Ogni persona che incontriamo, ogni azienda e ogni spazio fisico è occupato da richieste più o meno dirette che ci vengono fatte. E non mi riferisco solo alla pubblicità, ci sono SMS, muri virtuali sui social network, promoter al supermercato, call center che ci propongono di cambiare continuamente operatore, mano tese per un’elemosina, richieste da parte di amici, conoscenti, parenti. Tutto questo non è né positivo né negativo in sé, ma ci impone una responsabilità molto alta vostro noi stessi, verso i nostri valori e verso tutti gli obiettivi che più o meno consapevolmente abbiamo stabilito nella nostra vita. La scelta di “tagliare via” il superfluo non può essere effettuata a monte, va riformulata ogni mattina, e perseguita con determinazione.

E l’utile?
L’utile è tutto quello che si integra con i nostri valori, anche questo è soggettivo e frutto di una ricerca costante. È il tempo trascorso appieno con un amico, un parente, un disco, un libro o a suonare in sala prova. D’altronde il principio di design che hai citato intende proprio questo, se un elemento del design non ha nulla da dire in più nel contesto generale in realtà toglie interesse, per cui va eliminato per arrivare all’essenza. Si conclude dicendo che “Dio è nei dettagli”.

Max Sannella recensendo per lascena.it il vostro disco, ha parlato di come potrebbe essere una meravigliosa colonna sonora per dei viaggi interiori nei deserti dell’anima. Una definizione che secondo me calza a pennello per questo piccolo gioiello di nove brani che ci avete regalato, ma quanto c’è dei vostri viaggi interiori in questo lavoro?
In questo lavoro ci sono solo viaggi interiori, emozioni che non sappiamo esprimere in alcun altro modo che non suonando, è un disco che è stato suonato ad occhi chiusi. Non abbiamo fatto attenzione alle imperfezioni tecniche, il nostro vero interesse è sempre stato quello di trasmettere le nostre emozioni buone e cattive che fossero. Questa densità, se così possiamo chiamarla, è il nostro vero successo. Quando abbiamo letto la recensione di Sannella, al di là dei suoi lusinghevoli elogi, così come altri commenti di persone che non ci conoscono direttamente, ci siamo detti “arriva!”

Se penso ad una colonna sonora l’accostamento col cinema è immediato. Il vostro disco potrebbe benissimo adattarsi anche a quest’arte, magari ad un film muto. Cosa ne pensate del cinema, è stato o potrebbe essere una fonte di ispirazione?
Senz’altro sì. Anche noi, a parte le evidenti influenze morriconiane, percepiamo i nostri brani come una colonna sonora in qualche modo la densità di cui ti parlavo prima è questo modo a più dimensioni di vivere la musica, sentirla dentro e visualizzarla oltre che suonarla. Non siamo mai andati al cinema insieme! Ma il cinema è una forma d’arte che ci coinvolge e che spesso citiamo durante le lunghe pause fra le sessioni di prova. Tuttavia non siamo dei “parlatori” di cinema, il cinema ci prende e ci coinvolge, ci interessa come arte ma siamo avulsi agli eventi che gli girano attorno.

Dio maledica il sole, Dio maledica la sua luce e questo mondo che illumina.” God damn the sun è uno dei testi più belli scritti da Michael Gira, leader degli Swans. Come mai avete scelto proprio di fare una cover su questa canzone?
Questa canzone la suonavo da solo molto prima che si formassero gli Zuma. È una canzone molto, molto triste che ha accompagnato forse i momenti più difficili della mia esistenza. Il potere che ha questa composizione su di me è quello di farmi raggiungere rapidamente il fondo, il punto da cui ripartire, il momento in cui raccogliere le forze.

 Oltre Gira, quali sono i vostri ascolti?
Giant Sand e Calexico e il già citato Morricone – nel periodo spaghetti western  sono sicuramente dei riferimenti che puoi riscontrare nelle nostre note. I nostri ascolti spaziano dalla new wave degli anni ottanta al blues degli anni 40, non siamo divoratori di musica elettronica, ma anche questa fuori dagli stereotipi da discoteca può rientrare nelle nostre playlist.

Ultima domanda di rito. Progetti futuri?
Continuare così. Trovare uno spazio per le nostre nuove canzoni, continuare a sperimentare. Oltrepassare la Salerno-Reggio Calabria.

Cristina Chinaski

Cristina Chinaski nasce a Catania dove tuttora risiede. Ama viaggiare, fotografare, leggere, scrivere. Ha una passione viscerale per la musica, suona il pianoforte, colleziona vinili e adora il cinema.

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Cristina Chinaski

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