Di questi tempi si sa, ogni giorno se ne inventano una nuova, ma questo termine che inizialmente può sembrarci ambiguo se non addirittura in disuso visto e considerato il sound nel pronunciarlo è stato coniato direttamente da Silvio Berlusconi all’indomani della sentenza di condanna a 4 anni emessa dal gip di Milano nel corso del processo Mediaset.
L’ex premier accusato di evasione fiscale pari a 4,9 milioni nel 2001 e di 2,4 nel 2002, passa alla controffensiva “minacciando” il suo ritorno in politica, dopo l’annunciato abbandono e il volersi fare da parte per dar spazio proprio ai giovani, che per adesso assistono agli antefatti con il binocolo.
La storia italiana in questi anni si è molto arricchita di battibecchi tra politica e magistratura, quest’ultima ha sempre cercato un tentativo di rivalsa mentore del principio cardine costituzionale che afferma: “ La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Dicevo, negli anni questi due poteri tanto decisivi per il nostro paese si sono un po’ “pestati i piedi a vicenda”, mi sembra doveroso rivivere brevemente gli accaduti:
E’ dal 1994 ossia ben 18 anni che tutti parlano di riforme soprattutto a livello costituzionale dato che la nostra carta è risalente al 1948 è per molti versi non rispecchia più fedelmente molti aspetti della realtà, sarebbe giusto rinnovarla e portarla al passo con i tempi, eppure se ne parla ormai continuamente di una riforma della Giustizia ma per un motivo o per un altro non si è mai approvato un bel nulla. Questo perché giustamente la magistratura si è sempre opposta quando si tratta di riforme che in qualche modo vanno ad intaccare i privilegi di avvocati o magistrati e la pronosticata separazione delle carriere sembra un miraggio poiché si è dovuto persino scomodare Giovanni Falcone, prima denigrato e poi elevato ad idolo dagli stessi che hanno cercato in tutti i modi di ostacolarlo a compiere il suo dovere! Il magistrato palermitano già dal lontano 1992 proponeva a gran voce sia la sepazione delle carriere che un controllo più accurato della magistratura in quanto riteneva responsabile di eventuali dissidi all’interno dell’organo di giustizia non il governo, tout court la politica, bensì il Csm stesso, di fatti : «Se l’autonomia della magistratura è in crisi dipende anche dall’Anm, organismo che tutela interessi corporativi». Per i motivi già esplicati, ripeto non se ne fece nulla. Continuando l’iter, come non si può ricordare il caso Mastella che nel 2008 fece cadere il governo Prodi, in quegli anni la colpa della caduta del governo venne affibbiata ovviamente alla magistratura. Sempre per mano dell’ organo giudiziario, questa volta però si intende la Corte Costituzionale fu bloccato un decreto proposto da Tremonti nel 2010 e dichiarato anti-costituzionale nella parte in cui enunciava la ripartizione del Trattamento di fine rapporto (TFR) per i dipendenti pubblici per gli importi che si collocavano tra i 90 e i 150 mila euro. Nell’ambiente della politica una mossa del genere venne accolta in senso provocatorio in quanto il messaggio che fu recepito è stato che tutti coloro che fanno parte del personale togato non hanno intenzione di rinunciare ad eventuali importi/crediti che gli spettano di diritto.
Dopo questo excursus non passa di certo inosservato come questi tentativi di sabotarsi a vicenda hanno operato a discapito del popolo! Quest’Italia ha bisogno delle sue riforme, ed il governo che si insedia dovrebbe essere lasciato libero di attuare ciò che ha promesso durante la campagna elettorale, ma questo ovviamente non accade, in quanto il nuovo governo si trova sempre sotto esame ed è continuamente bersagliato, l’attuale premier Monti dalla piena fiducia rischia di non arrivare neanche allo scadere delle già annunciate elezioni primarie. Giustamente la situazione non cambierà quindi si ripeterà la storia di sempre, ossia che per conquistare il governo si uniscono più fazioni una volta saliti al potere si rendono evidenti le diversità interne e nonostante ci sia la maggioranza, essa risulta effimera ed è pronta a traboccare da un momento all’altro. Il cambio di marcia è diventato una necessità, una possibile soluzione si è affacciata dal festival di Mestre del 5 settembre scorso presieduto dal presidente Napolitano che ha incoraggiato i giovani a farsi largo nell’ambito della politica, in quanto i partiti hanno bisogno di un rinnovamento per portare avanti l’ideale della democrazia, ha annoverato tra i fattori determinanti di questa crisi la disconnessione tra i vari ambiti dell’economia, diritto e politica proprio perché ormai sono ambienti saturi ed esigono energie nuove con idee sorrette da un potenziale più radicato ai tempi che corrono. Solo così si può realizzare interamente quella che viene comunemente etichettata come “globalizzazione”.
Queste dichiarazioni sono stata apprese dai giovani italiani allora, ciò che preme domandarsi, è :”Perché questi giovani di oggi non si fanno avanti?” Dal punto di vista delle generazioni passate i giovani conducono una vita troppo spensierata in quanto popolano fin troppe volte le piazze per divertimento e svago dietro un mantenimento sicuro da parte della famiglia, il punto è che dovrebbero iniziare a capire che devono rimboccarsi le maniche perché l’happy hour che stanno vivendo non potranno garantirlo alle generazioni future con questo andazzo. Da parte dei giovani la situazione appare totalmente diversa in quanto si assiste ad una netta chiusura di concorrenza in tutti gli ambiti professionali, i dirigenti di aziende e i vari studi legali sono sempre più restii a cedere il passo, forse per mancanza di fiducia o per attaccamento professionale, figuriamoci nell’ambito della politica dove tutti sembrano essere così assetati di potere che mai si curerebbero di passare il testimone, lo stesso Berlusconi alla prima occasione si è rimangiato tutto dichiarando di non voler più abbandonare la politica. In quest’Italia così perfettamente ferma nelle sue posizioni i giovani come dovrebbero trovare spazio? Come ritagliarsi un angolo se nessuno si degna di credere in loro, se prima Monti dice che il posto fisso non è una prerogativa e poi la Fornero li definisci “choosy” a quale speranza devono aggrapparsi? Un appello terrei a lanciare: “Siete tutti così sicuri che i giovani di oggi non saprebbero fare meglio? Tanto dopo aver toccato il fondo si può solo risalire, perché non tentare? O l’unica vera paura sarebbe proprio un “aspettato” successo da parte della fazione giovanile a discapito di una suonante disfatta della generazione precedente?”